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Tiago Rodrigues e il dilemma dello sparare ai fascisti

In scena al Lac l'eccezionale ‘Catarina e la bellezza di uccidere i fascisti’ del regista portoghese

(Joseph Banderet)
21 febbraio 2025
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“È uscendo da spettacoli come questo che capisci che il teatro serve ancora a qualcosa”. Volendo si potrebbe aprire e chiudere così, con questa voce raccolta giovedì sera fuori dal Lac, la recensione di ‘Catarina e la bellezza di uccidere i fascisti’ del regista portoghese Tiago Rodrigues.

Volendo dire qualcosa di più – e lo spettacolo lo merita –, siamo in un distopico e inquietante 2028 sempre più vicino al nostro presente. In una isolata casa nella campagna portoghese, una famiglia mantiene una tradizione decisamente particolare: ritrovarsi, una volta all’anno, e uccidere un fascista, piantando poi una quercia nel punto in cui seppelliscono il cadavere. Questa tradizione nasce da un evento storico: l'assassinio di Catarina Eufémia, una giovane bracciante uccisa dalla Guardia Nazionale Repubblicana nel 1954, durante una protesta per i diritti dei lavoratori. Nella finzione teatrale, questa uccisione ha portato a un rituale di vendetta che si perpetua da oltre settant'anni: tutti i membri della famiglia si riuniscono e, indipendentemente dal genere, indossano lunghe gonne tradizionali e assumono il nome di Catarina, con quelle situazioni di comicità surreale che è facile immaginare e che caratterizzano la prima parte dello spettacolo.

Tra una discussione sulla ricetta tradizionale dei piedini di maiale e le discussioni con la Catarina vegana, scopriamo che un’altra Catarina, la più giovane, ha ormai ventisei anni, vale a dire la stessa età in cui morì la vera Catarina. È quindi arrivato il giorno in cui deve compiere il suo primo omicidio, sparando a un politico di estrema destra, rapito nei giorni precedenti e scelto per i suoi discorsi misogini e le sue posizioni antidemocratiche. Catarina impugna la pistola, la punta contro la testa del fascista. E non spara.

La sua esitazione, che diventa rifiuto di una violenza per la quale non riesce a trovare una giustificazione, mette in crisi la famiglia che, nel rispetto del rituale, non interviene direttamente ma cerca di convincerla. È in particolare il confronto tra madre e figlia, interpretate da Isabel Abreu e Beatriz Maia, a dominare la parte centrale dello spettacolo, con serrati dialoghi in portoghese che a volte è un po’ difficile seguire con i sopratitoli. È il confronto tra due visioni della resistenza politica: da un lato, la determinazione inflessibile della madre che vede nella violenza uno strumento necessario di lotta; dall'altro, i dubbi della figlia che si interroga sulla legittimità di rispondere alla violenza, o all’inazione di fronte alle ingiustizie, con altra violenza.

La scenografia, opera di F. Ribeiro, grazie anche alle luci di Nuno Meira, segue i vari momenti della narrazione, accompagnando il pubblico dalla dimensione più privata e domestica a quella politica, rappresentate dalla casa di campagna, costruita intorno a una quercia da sughero, e la tavola imbandita con la tovaglia ricamata che porta la scritta "Não passarão" (“Non passeranno”) in rosso. A questo possiamo aggiungere il progetto sonoro e le musiche di Pedro Costa, con cui i personaggi interagiscono direttamente: ‘Catarina e la bellezza di uccidere i fascisti’ è abilmente costruito in modo da evitare facili identificazioni emotive e mantenere una costanza tensione intellettuale. Tiago Rodrigues riprende in questo la lezione dello straniamento di Bertolt Brecht, non a caso continuamente citato – anche se per le sue dichiarazioni politiche e non di teoria del teatro – da una delle Catarina.

Nel momento in cui il pubblico si convince di essere di fronte – come afferma a un certo punto Catarina nonno – non a un quesito con una risposta giusta ma a un dilemma senza soluzione e sul quale si continuerà a discutere in eterno, improvvisamente si cambia registro. Siamo nell’ultima parte dello spettacolo e il fascista prigioniero, interpretato da Romeu Costa, fino a quel momento rimasto in silenzio, si lancia in un serrato monologo nel quale, in un crescendo sempre più agghiacciante, vomita addosso al pubblico tutta la retorica dell'estrema destra. È difficile restare indifferenti, e anche alla prima luganese una parte del pubblico ha reagito, seppure senza eccessi (in altre città è dovuta intervenire la sicurezza). Tutto previsto da Tiago Rodrigues che nella sceneggiatura aveva indicato le possibili reazioni della sala. Ma anche se tutto previsto e scritto nel copione, la tutto sommato rassicurante finzione teatrale è venuta meno. ‘Catarina e la bellezza di uccidere i fascisti’ non è solo uno spettacolo costruito e portato in scena con notevole maestria, ma diventa uno strumento di indagine politica. Ci si siede in teatro con la domanda, paradossale e surreale, se sia giusto uccidere un fascista; ci si alza con il peso di domande su cosa sia la democrazia, su quali siano i limiti della tolleranza e del confronto di idee, su come far fronte all’autoritarismo e al populismo.

Perché è vero, il teatro serve ancora a qualcosa.