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Casanova e i fantasmi di un Settecento oscuro

Fabrizio Sinisi e Fabio Condemi hanno firmato un interessante, ma frammentato, ritratto di un secolo di rivoluzioni e delusioni

(LAC/Luca Del Pia)
13 marzo 2025
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Si intitola ‘Casanova’, lo spettacolo che ha debuttato in prima assoluta al Lac martedì, realizzato in coproduzione con Emilia Romagna Teatro, Teatro Piemonte Europa e Compagnia Lombardi-Tiezzi. Ma forse avrebbe dovuto intitolarsi ‘Settecento’: lo spettacolo di Fabrizio Sinisi (testi) e Fabio Condemi (regia) è sì ispirato alla ‘Storia della mia vita’ di Giacomo Casanova, ma ha come vero tema il secolo in cui Casanova è vissuto, quel Settecento ricco di cambiamenti, rivoluzioni e contraddizioni. Da un lato l’Illuminismo, la ragione, il progresso scientifico e tecnologico con il suo ottimismo; dall’altro la superstizione, l’occultismo, un pessimismo che ha l’amaro sapore del realismo.

È il secolo della mongolfiera, prima esperienza di volo dell’umanità, e del mesmerismo, una pratica pseudoscientifica che sosteneva l’esistenza di un fluido magnetico nei corpi viventi. E proprio il mesmerismo è l’espediente drammaturgico centrale di ‘Casanova’, porta d’accesso ai ricordi di un Casanova ormai anziano che teme di perdere anche l’ultima cosa che gli resta, la memoria.

Il settimo volume

Siamo nel castello di Dux, in Boemia, nell’inverno del 1798. Qui troviamo Giacomo Casanova (Sandro Lombardi), ormai vecchio e malandato, che da quindici anni svolge il ruolo di bibliotecario per il Conte di Waldstein. Amareggiato dal clima boemo e dal terribile idioma (il tedesco) con cui i cortigiani si rivolgono a lui per sbeffeggiarlo – e le sue lamentele animano i primi minuti di spettacolo –, Casanova accoglie un medico esperto di mesmerismo (Marco Cavalcoli) per riuscire a recuperare i ricordi e concludere la scrittura delle sue memorie, ferma al settimo volume.

In uno stato di coscienza alterato, Casanova inizia a rivivere episodi del suo passato, non necessariamente provenienti dalla sua autobiografia, tra eventi storici e momenti anacronistici (con tanto di dialogo sulla fisica quantistica). Visioni, più che ricordi: apparizioni e premonizioni tra le quali Henriette (Simona De Leo), forse l’unico vero amore della vita di Casanova, anche lei destinata all’oblio. Si materializza anche la Marchesa D’Urfé (Betti Pedrazzi), nobile appassionata di esoterismo e alchimia, con cui Casanova intrattenne un rapporto ambiguo. E poi il frate Marino Balbi, compagno di cella durante gli anni di prigionia a Venezia, mentre Voltaire (Alberto Marcello) ricorda il terremoto di Lisbona del 1755, tragico evento che mise in crisi l’ottimismo che sembrava caratterizzare lo spirito del tempo.

La stanchezza della memoria

Il Giacomo Casanova che vediamo in scena è anziano e disilluso. Non così Sandro Lombardi – che già una decina di anni fa aveva interpretato il personaggio in uno spettacolo di Federico Tiezzi tratto da Arthur Schnitzler, al quale aveva lavorato lo stesso Sinisi –, con una prova attoriale magistrale. Lombardi riesce a portare in scena tutte le sfumature di un personaggio complesso, stanco ma ancora vitale nella sua ossessione per la memoria. I comprimari, tra cui il giovane Edoardo Matteo che interpreta il Casanova bambino nei primi ricordi, sono tutti all’altezza dell’interpretazione di Lombardi, a parte qualche incertezza che sarà verosimilmente superata con le repliche.

Altro elemento riuscito dello spettacolo, l’impianto scenografico concepito da Fabio Cherstich con la biblioteca di Dux che diventa e si trasforma continuamente, passando da luogo fisico a spazio mentale in un gioco di trasparenze e sovrapposizioni tra scaffali di libri, una grande vetrata su cui si proiettano memorie visive, un quadro che diventa finestra.

Casanova, chi era costui?

Ottime interpretazioni, ottima regia, ottima scenografia e buone le luci di Giulia Pastore e il sound design di Andrea Gianessi. Il limite di ‘Casanova’ sta, purtroppo, nella drammaturgia di Fabrizio Sinisi. Se l’intenzione era quella di creare una meditazione sulla memoria e sul tempo, il risultato è un insieme di momenti teatralmente riusciti che però non riescono a comporsi in un discorso unitario, anche per i bruschi cambi di registro che rendono difficile seguire alcune scene. Un insieme di frammenti che non si sa bene come ricomporre.

Cosa ci racconta, in definitiva, questo ‘Casanova’ di Sinisi e Condemi? Non la vita dell’avventuriero, scrittore, alchimista, filosofo (e tante altre cose) veneziano, e questo era chiaro fin dall’inizio. Ma i frammenti dei suoi ricordi che vediamo in scena non riescono neanche a raccontare il Settecento, che percepiamo nella sua complessità attraverso una nostalgia e un rimpianto che è difficile da interpretare: riguardano un Settecento che ha cercato di abbracciare la ragione finendo per decapitare Maria Antonietta oppure la nostra contemporaneità e i tradimenti delle promesse del Novecento?