Cantautrice e sacerdotessa, il suo piano recital è il tentativo di spiegare com'è straordinaria la vita
C’era una volta il 1992, anno di pianoman durante il quale fece la sua comparsa una pianowoman chiamata Tori Amos e il binomio cantante-pianoforte declinato al femminile fece un balzo oltre Carole King. Da bambina Tori suonava Beethoven a memoria (il che non è impossibile) e amava improvvisare al pianoforte le canzoni dei suoi miti musicali (il che presuppone del talento); cantava di femminismo, accettazione, stupro, del rapporto con il padre reverendo, il tutto retto dal pianoforte onnipresente e a suo modo rivoluzionario. È un po’ quello che avvenne in Italia con Dolcenera, per gli amici Manu, pianista-cantante del cantautorato italiano che un giorno del 2003 apparve sui teleschermi pestando sopra un pianoforte nero in mezzo a una specie di taranta rock intitolata ‘Siamo tutti là fuori’, bella come il sole, brava come Tori almeno quando si tratta della forma piano-solo, quella che divide i bravi dai bravini, i grandi dai grandicelli.
È in questa forma che il Teatro Sociale ha visto e ascoltato Dolcenera sabato scorso nel recital pianistico tratto dall’ultimo disco d’inediti ‘Anima Mundi’. “Non è un concerto né un concertino, è una roba senza fronzoli che parla di anima”, s’introduce l’artista, che nel tempo ha mutuato il mutismo selettivo della sua giovinezza nel generosissimo eloquio dei suoi show, in particolar modo questo. Una volta evaso il contenuto amoroso-esistenziale di ‘Tutto è niente’ e ‘Mai più noi due’ da ‘Un mondo perfetto’, disco del 2005 e della consacrazione, si prende il tempo necessario per introdurre la teoria dei cinque elementi che permea il suo album: “Qualcuno vi ha detto che il concerto sarebbe stato corto?”, chiede con ironia. «A cosa siete abituati qui a Bellinzona? Un’ora? Due?». Annuncia la fine per le cinque del mattino, umorismo che è un lasciapassare per tutto quanto di filosofico, poetico, ayurvedico arriverà.
Divise per elementi, generalmente raccontate nel loro processo creativo, le canzoni di ‘Anima Mundi’ partono dall’Acqua e da Lisbona, dov’è nata l’ecologica ‘Amaremare’. La Terra è quella del Brasile, da dove arriva la ritmica ‘Un altro giorno sulla terra’. Terra è anche ‘Ci vediamo a casa’, canzone la cui strofa ha atteso il ritornello per cinque anni. Nell’Aria, Dolcenera ha cercato le stesse risposte di quel «testina» (definizione sua) di Bob Dylan quando scrisse ‘Blowin’ in the Wind’: l’omaggio al testina e alla canzone è riuscito, anche la domanda di fondo, quel “How many roads” tradotto in italiano sulla coda del pezzo, sopra un pattern pianistico di tutto rispetto. Aria è anche ‘Siamo tutti là fuori’, il momento in cui «questa cavolo di Dolcenera ha spiccato il volo».
Dalle parti del Fuoco brucia l’amore de ‘Il mio amore unico’: «Non ho scritto tante canzoni d’amore. Ho questa lunga storia che si è tramutata in fratellanza. Trent’anni con la stessa persona, praticamente un incesto». Poi è la volta dell’Etere e Dolcenera sempre più sacerdotessa ci chiede di chiudere gli occhi per una prova di connessione, della quale – un tantino sconnessi – ricordiamo il crescendo di ‘Calliope (Pace alla luce del sole)’, tra il meglio di ‘Anima Mundi’. Altro Etere ci dovrebbe collegare a ‘Emozioni’ di Mogol-Battisti.
Coloro i quali sentissero di possedere una spiritualità profonda quanto le piastrelle del bagno potrebbero rimanere intrappolati in questa terapia di gruppo, ma siamo adulti e a rimetterci è al massimo una bimba che si assopisce nelle braccia della mamma più o meno all’altezza di Dylan, forse prima. Bimba che ha tutto il tempo per sentir parlare di venti di guerra e voglia di pace. Due ore di concerto sono nulla per noi che abbiamo visto Baglioni al Lac suonare per 3 ore e 40 minuti piano e voce senza la pausa, e sappiamo dove collocare la battuta «vi siete portati il catetere da casa?» con la quale anche Manu aveva annunciato un lungo concerto.
Annacquati o infuocati, per aria o terra terra, un po’ di santità l’abbiamo sentita anche noi in ‘Com’è straordinaria la vita’, quella vita che “un giorno ti senti come in un sogno e poi ti ritrovi all’inferno”, e davanti agli artisti veri è sempre e solo il sogno e mai l’inferno.