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Bandabardò, dopo il dolore un chiassoso Fandango di vita

La storica band italiana questa sera all’auditorium Rsi a Besso per presentare il nuovo album, il primo dopo la scomparsa del frontman Erriquez

1 aprile 2025
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Un allegro trambusto per riabbracciare la vita dopo il dolore di un lutto affettivo e artistico. ‘Fandango’, il nuovo album della Bandabardò uscito lo scorso 28 marzo, è il primo lavoro della band fiorentina (dopo ‘Non fa paura’ con Stefano Cisco Belotti) a vedere la luce dopo la scomparsa, nel febbraio 2021, dello storico frontman e fondatore Enrico ‘Erriquez’ Greppi. Un ritorno sulla scena discografica che segna una nuova era che prosegue nel solco della precedente.

La band si esibirà questa sera in uno showcase all’auditorium Stelio Molo della Rsi a Besso alle 20: un evento, organizzato in collaborazione con Migrazioni Sonore, già sold out che dà il via a un tour europeo a cui seguirà una lunga serie di date in Italia. A raccontare la genesi del nuovo lavoro è il chitarrista e attuale cantante nonché cofondatore della band Alessandro ‘Finaz’ Finazzo.

Partiamo dal titolo: cos’è per voi ‘Fandango’?

Volevamo trovare un titolo che raccogliesse il momento storico in cui arriva questo disco, ma anche quello che stiamo vivendo noi e che rappresentasse la Bandabardò. Fandango è perfetto perché innanzitutto il fandango è una danza del flamenco, e in questo disco si risente un andazzo ritmico e di chitarre che non sentivamo da un po’ di tempo. Ed è perfetto anche riguardo i testi, perché abbiamo cercato di fotografare il mondo in questo momento, molto confuso, chiassoso e caotico, tutti significati ai quali si riferisce il termine ‘fandango’ nello spagnolo corrente.

E poi, non ultimo, sono un grandissimo fan del film ‘Fandango’ del 1985, che racconta il viaggio di quattro amici all’insegna del fare appunto ‘fandango’, del divertimento, che è un po’ la linea che unisce la carriera della Bandabardò. A noi piace portare la festa sul palco sempre e comunque, anche in un momento particolare come quello che come band stiamo vivendo: siamo degli amici che dopo trentadue anni sono ancora insieme, abbiamo voglia di suonare, di portare la nostra allegria, la nostra energia. Però a volte dobbiamo anche prender delle decisioni, prendere la nostra vita in mano e diventare un po’ adulti.

Cos’è oggi, dopo trentadue anni, la Bandabardò?

Posso dire con orgoglio che la Banda è rimasta sempre uguale a se stessa, quella del Manifesto scritto nel 1993, che vuole un mondo a misura di donna e di bambino, il trionfo della gentilezza. Quella che vuole portare sul palco questa onda di energia e ironia e anche e soprattutto la continuità fra chi sta sul palco e chi sta sotto a sentire, una grande festa che viene costruita dall’artista ma anche dal pubblico.

Ogni nostro concerto è completamente diverso dall’altro, ed è questa la bellezza di suonare alla vecchia maniera, senza computer sul palco. In fondo, la Banda è nata da un progetto mio e di Enrico come una festa tra amici, tre chitarre, un falò, un bicchiere di vino e si canta, si suona e si danza: e questo l’abbiamo trasferito e portato sul palco.

C’è una canzone di questo album a cui siete più legati?

Parlare di canzoni è un po’ come parlare di figli, siamo affezionati a tutte anche perché sono costate tanti sacrifici e ripensamenti, molte sono state escluse dal disco. Se proprio devo scegliere, citerei due brani: uno è ‘Notti di luna e falò’, l’omaggio a Enrico a cui ha partecipato la nostra carissima amica Carmen Consoli, che l’ha reso un gioiello raro.

L’altro è ‘Canzone blu’, in cui forse, nel testo, sono riuscito a comunicare veramente quella che è la filosofia della banda: si parla del cuore, che sì, è un muscolo, ma anche qualcosa che tutti abbiamo, che ci rende uguali. L’uguaglianza al giorno d’oggi viene confusa con omologazione, nei vestiti, nella musica che si ascolta o nei posti in cui si va a mangiare: tutti cercano di integrarsi, di somigliare il più possibile al branco in modo da non essere diversi, perché il diverso fa paura. E invece siamo tutti legati, ma ognuno è una persona a sé, molto diversa. È questo che mi manca, sentirci tutti uniti, ma ognuno originale e diverso dagli altri: non un gregge, ma una serie di personaggi unici e irripetibili.

Come nasce la collaborazione con Carmen Consoli?

Con Carmen ci conosciamo da venticinque anni. Abbiamo suonato insieme la prima volta nel 2000 e sono scattati l’amore e l’amicizia reciproca. Quando ha sentito il provino del pezzo che avevo scritto per Enrico, si è fatta subito avanti senza che noi le chiedessimo niente: è stata lei a dire ‘Ragazzi, voglio metterci un’orchestra, l’Orchestra Popolare Siciliana, per fare un gran finale, e se mi permettete ci metterei anche la voce’.

Noi facciamo dei duetti soltanto se ci sono legami artistici reali, di amicizia, umani. Carmen è una grande amica della Banda da tanti anni, conosceva benissimo Enrico e quindi ci ha messo veramente del suo e ha reso anche questo omaggio un po’ meno personale e più universale.

Come si elabora un lutto, come quello che vi ha colpito, in una band?

Quella di Enrico è stata una perdita di portata doppia, non solo dal punto di vista umano, fraterno, personale, ma anche la perdita di un collega, un artista di altissimo livello, grandissimo autore di testi e frontman. E quindi ci siamo trovati spiazzati.

Per me l’elaborazione significava chiudermi in me stesso, per me la Banda era finita, pensavo che la mia carriera sarebbe proseguita mettendo la mia chitarra al servizio degli altri musicisti che volessero condividere un percorso con me. Poi, invece, grazie agli attestati di amicizia, di fiducia, di fede da parte dei fan e degli amici abbiamo sentito un grande calore, una spinta: tutti ci hanno detto che dovevamo continuare.

E mi sono tornate in mente le parole di Enrico: lui stesso, prima di lasciarci mi ha detto: ‘Ale, fa’ in modo che la nostra musica vada avanti’. E quindi mi sono sentito chiamato in causa. Nei primi tre anni ci ha dato una mano Stefano Cisco Bellotti, un grande amico della Banda che ci ha dato coraggio, ci ha fatto un po’ da paravento.

Adesso tocca a noi, con questo ‘Fandango’: siamo ragazzotti oramai cinquantenni che hanno voglia di riprendere la loro vita in mano e cercare di superare, perché comunque la vita va avanti e così la musica. Come diceva qualcuno un po’ di tempo fa, ‘the show must go on’.

Ma questo non significa che la Banda andrà avanti per sempre: noi dopo la scomparsa di Enrico navighiamo a vista, non diamo più niente per scontato. Ogni volta facciamo un progetto, lo realizziamo e lo portiamo in fondo, ma solo se ci piace, se è genuino, rispettoso del passato della Banda e del nostro pubblico e della memoria di Enrico.

Non siamo mai stati artisti che fanno un disco e vanno a suonare solo per timbrare il cartellino: per noi non è solo un lavoro, è la nostra vita e deve essere bella a 360 gradi, convincente, genuina. Altrimenti, possiamo anche fare altro: in fondo, non ce l’ha ordinato il dottore.