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L'unione fa i ‘Carmina Burana’

Abbiamo seguito le prove con i cori amatoriali della Svizzera italiana per un concerto speciale con l'Orchestra della Svizzera italiana

(OSI/S. Ponzio)
7 aprile 2025
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Se si pensava che fosse come tentare di amalgamare l’olio con l’acqua, qui sembrano più panetti di burro al sole. Le piccole rivalità tra comuni – se mai sono esistite – si stemperano e si rimescolano. I cori amatoriali della Svizzera italiana si sono aggregati per un’occasione che ha più dell’evento simbolico che della semplice data musicale. L’obiettivo è il concerto dell’8 giugno al Lac di Lugano, nell’ambito della stagione Osi a Pentecoste: in programma i‘Carmina Burana’ di Carl Orff, diretti da Markus Poschner. Ma qualcosa è già cominciato: il 4 aprile, all’Auditorio Stelio Molo Rsi, si è tenuta la prima prova corale.

«La musica unisce sempre» dice Chiara Pedrazzetti, arpista e direttrice del gruppo vocale Cantadonna. «Si incontrano vecchi amici, musicisti ed ex coristi. Il comitato ha deciso di aprire le lezioni anche ad altri e abbiamo avuto moltissime adesioni: ho preparato una cinquantina di coristi».

Sulla scia del successo di ‘Io, tu e l’Osi’ – progetto del 2024 che aveva portato una cinquantina di musicisti non professionisti sul palco del Lac insieme all’orchestra – quest’anno l’Osi coinvolge le voci: i cori amatoriali di tutta la Svizzera italiana. Salire sul palco del Lac, cantare i ‘Carmina Burana’ di Carl Orff, essere parte di qualcosa di più grande, forse irripetibile. Alcuni hanno detto subito sì. Altri hanno esitato. Sofia, soprano, racconta così la scoperta di essere finita dentro il progetto: «Entusiasmo. Tantissimo. Diciamo 80 per cento entusiasmo, 20 per cento…». La frase resta sospesa un istante, poi la completo io: «Strizza».

Accanto all’emozione, la preparazione è tutto, e ogni gruppo ha trovato il proprio modo per arrivare pronto. «Abbiamo fatto nove ore di prova da gennaio a marzo e tanto impegno a casa», puntualizza la direttrice del coro Cantadonna. «Ognuno si prepara la parte. Hanno tutto lo spartito, la registrazione. Si canta finché non si impara, poi nel gruppo si mette insieme tutto».

E più la posta in gioco è alta, più il pensiero – se qualcuno sbaglia durante la grande serata? – si potrebbe insinuare. Ma è come provare a far aderire un’etichetta su una parete umida: la negatività non attacca su queste centinaia di persone che si preparano, in fila, a entrare in auditorio. «Se si è così in tanti, non si sentirà l’errore, in teoria. Dipende dal numero di persone che cantano e che tipo di errore facciamo», confidano, più per rassicurare me che sé stessi.

Qualcuno è seduto sugli scalini, altri rivedono la parte prima di entrare. Alcuni hanno spartiti fotocopiati e graffettati, altri raccoglitori con codici a colori, post-it, note scritte a mano in margine. Ognuno ha portato il proprio modo di leggere la musica. Alcuni cori si sono disciolti per l’occasione: c’è chi ha accolto rinforzi esterni, chi si è unito a gruppi più grandi. Così come il coro delle voci bianche: «Abbiamo cercato di raggruppare tutti i cori della Svizzera italiana di bambini in un coro fatto apposta», dice la direttrice artistica Osi Barbara Widmer. «È molto speranzoso: fa piacere vedere così tanta gioventù».

Un brano molto noto ma estremamente complesso

L’ingresso di Markus Poschner è accolto da un applauso spontaneo, seppure malinconico. Questa sarà la sua ultima volta come direttore principale. «Abbiamo voluto coronare proprio questo suo ultimo concerto con questo brano», commenta Widmer. I ‘Carmina Burana’, scelti anche perché molti coristi li conoscevano già, sono comunque un pezzo temuto. «Abbiamo un numero incredibile di persone tra coristi e orchestra, ed è una sfida enorme mettere tutto insieme» spiega il maestro Markus Poschner. «È un brano molto noto, quasi popolare, ma anche estremamente complesso». Un pezzo potente, pieno di salti, con passaggi molto rock e altri quasi jazz. È un brano che richiede tutto, ma che restituisce anche tutto. Tecnica, precisione, e un’emozione che – se trattenuta – ti esplode dentro.

Ma come si fa a scoprire di saper cantare? Come si entra in un coro amatoriale, se non si è cresciuti in una famiglia di musicisti o non si è stati incoraggiati da piccoli? C’è chi scopre di avere un talento per caso, seguendo un’amica. Chi comincia a trenta o sessant’anni o da bambino. «Lavoro con un sacco di persone con traumi legati al canto», racconta Pedrazzetti. «Il maestro a scuola che dice ‘non cantare, sei stonato’ è una cosa che distrugge, ed è sbagliata. Poi tornano da adulti e dicono ‘mi hanno detto che non lo so fare’, e io rispondo: no, ti hanno traumatizzato per niente. Perché tutti possono cantare».

Sapere di poter cantare è una cosa. Farlo davanti a centinaia di persone, un’altra. E quando si chiede a chi ha passato gli ultimi mesi tra spartiti e prove serali se si senta pronto a lasciare la quotidianità per indossare i panni del palcoscenico, la risposta arriva automatica: «Cavolo! Con le ore in studio che ci stiamo mettendo». Ma di tempo per abbandonarsi a chiacchiere ce n’è poco, e si ritorna velocemente tra le righe al suono del maestro che richiama, ancora una volta: «Da capo».