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‘Pignasecca&Pignaverde’, Gilberto Govi resuscita grazie a Tullio Solenghi

Il genovese vivente ci propone un signor Felice così tirchio da rendercelo paradossalmente simpatico. Nuova replica stasera a Locarno, domani a Chiasso

Il 12 aprile a Chiasso
(Foto: Il pigiama del gatto)
11 aprile 2025
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Quand’ero ragazzino, Gilberto Govi era un mito, uno di casa accolto sempre calorosamente. A tal punto che mia mamma Gina trasformò una battuta (“Vieni fuori, Amalia”) della commedia ‘Pignasecca e Pignaverde’ in un suo personalissimo tormentone: “Vieni fuori, Pucio!” – quando il Pucio (chi vi scrive) faceva i capricci e non voleva saperne d’uscire dalla sua cameretta.

Invece in casa Pastorino a farla da padrone è l’ossessione del patriarca Felice per il risparmio. Propone di ridurre lo stipendio alla donna delle pulizie, la quale viceversa si lamenta di come si mangi poco nella casa dov’è capitata, perché la colf è nel frattempo calata di dieci kg “senza spendere una lira per la dieta”. Capace d’assaporare il sigaro verticalmente per rallentarne la combustione (fumato così, un Havana dura tre ore!), il signor Felice vorrebbe dare in sposa sua figlia a un ricco commerciante: ha già pronto un accordo da centinaia di migliaia di lire; una bella sommetta, visto che la commedia (che deve il suo titolo ai due protagonisti di un'opera letteraria del XIX secolo, scritta in lingua genovese dal poeta ligure Martin Piaggio, ‘I doì aväi’, i due avari) è andata in scena nell’immediato Secondo Dopoguerra e fu proposta dai teleschermi Rai nel 1957.

‘Pignasecca&Pignaverde’ si deve invece alla penna di Emerico Valentinetti, scrittore sceneggiatore e regista che diresse il suo unico film, ‘Gildo Peregallo, ingegnere’, nel 1960 con Govi e sua moglie Rita quali protagonisti. Valentinetti gioca per così dire in casa: da buon genovese costruisce questo castello di amori contrastati, incomprensioni, agnizioni e l’immancabile happy end partendo da un topos tra i più consueti nell’arte comica, e cioè l’avarizia. Felice Pastorino, pur annebbiato dalla sua ossessione, è tuttavia attento sulle cose del mondo, che non cambierà mai poiché “la pianta degli scemi non è ancora secca del tutto”. E sospettando che la donna delle pulizie abbia fatto la cresta sulla spesa, sentenzia filosoficamente che: “Se tutti i ladri avessero le ali, il cielo sarebbe sempre nuvolo!”.

Dopo la fortunata riedizione dei ‘Maneggi per maritare una figlia’ (dal cui cast recupera la verve di Stefania Pepe e Laura Repetto, affidando loro un godibilissimo abbrivio in dialetto ligure), il genovese Tullio Solenghi arricchisce il suo omaggio al concittadino Gilberto con un’altra prestazione degna di rilievo. Qualche esperto di fisiognomica magari ci spiegherà come l’attore riesca a resuscitare – con una precisione quasi inquietante – la maschera goviana, fatto salvo lo stupefacente trucco/parrucco di Bruna Calvesi. Solenghi, vecchio furbone veterano di mille battaglie, riesce a proporci un signor Felice così tirchio, ma così tirchio da rendercelo paradossalmente e teneramente simpatico. Sembra di sentire un altro genovese Doc come Paolo Villaggio col suo fantozziano: “Ma com’è umano lei!”.

Pubblico non proprio vicino al tutto esaurito (speriamo in un’affluenza migliore stasera e per la replica prevista a Chiasso), e tuttavia molto soddisfatto, come dimostrato dalle risate e dai numerosi applausi a scena aperta.