Rapporti umani e tecnologia, amore e potere: ‘Black Bag’ è l'algido domicile conjugal travestito da spy story di Steven Soderbergh, nelle sale
“Vorrei solo che non fosse così fottutamente facile”. Dice un personaggio nella prima scena di ‘Black Bag’ (Doppio gioco), nuovo film di Steven Soderbergh con Michael Fassbender, Cate Blanchett, Pierce Brosnan e Naomie Harris. Sta parlando del tradimento, argomento di superficie di questo domicile conjugal travestito da spy story, ma sta anche introducendo il tema più ampio e risonante del film, che ne tiene insieme la riflessione sui rapporti umani e quella sulla tecnologia, quella sull’amore e quella sul potere: nell’epoca in cui tutto è possibile, abbiamo davvero possibilità di scegliere?
George Woodhouse (Fassbender) e sua moglie Kathryn St.Jean (Blanchett) sono due spie che lavorano per la stessa centrale operativa, ammirati e invidiati dai colleghi tanto per le rispettive abilità professionali quanto per lo smalto scintillante del loro matrimonio, fatalmente inusuale in un ambiente di bugiardi professionisti. A George viene però data una settimana per scovare il traditore interno all’agenzia che ha trafugato un ordigno dal potenziale apocalittico, e gli viene comunicato che tra i cinque sospettati c’è sua moglie. (Se l’analogia tra la missione e il matrimonio non fosse abbastanza chiara: l’ordigno, che si chiama Severus, ha il potere di innescare una fissione nucleare in un nucleo stabile).
Da qualche anno Steven Soderbergh sembra lavorare un po’ come quegli chef-filosofi che sottraggono ingredienti alle ricette per arrivare al sapore assoluto, come quegli anacoreti che prendono a mangiare solo una volta al giorno e poi solo una alla settimana per scoprire se si può vivere di aria e luce del sole, ma con una leggerezza e un senso dell’umorismo che non assoceremmo a queste categorie: a ritmi quasi fordisti sforna uno dopo l’altro questi film brevi, essenziali nei mezzi e nel linguaggio, anodini nei toni, deliberatamente insulsi nella trama, e quasi sempre meravigliosi. Così meno di un anno dopo ‘Presence’, horror a cui veniva intenzionalmente sottratto l’elemento della paura, ecco con lo stesso partner in crime (lo sceneggiatore David Koepp, un altro nume di Hollywood la cui penna volteggia da ‘Jurassic Park’ a ‘Panic Room’, da ‘Cronisti d’assalto’ a ‘Indiana Jones’) un film di spionaggio senza scene d’azione, senza cerebralità d’intreccio alla Le Carré e in buona parte anche senza suspense. È come se Soderbergh, che ha raggiunto il successo a 26 anni con ‘Sesso, bugie e videotape’ (1989) e prima di compierne quaranta ha collezionato ogni riconoscimento morale e materiale a cui un regista possa aspirare, da lì in poi avesse iniziato a fare una sorta di cinema molecolare, interessato soprattutto a forme, elementi e alle loro combinazioni, un punto di vista sul cinema che fa pensare contemporaneamente a quello di un bambino e a quello di dio.
In un ambiente di bugiardi e individualisti con a disposizione potentissimi mezzi tecnologici (vi ricorda qualcosa? Per esempio, ehm, il mondo in cui viviamo?), George e Kathryn sono diversi dagli altri perché, pur potendo tutto, sanno quello che vogliono: “io per te mentirei” dice George a Kathryn, “e io per te ucciderei”, risponde a Kathryn a George, in quella che potremmo definire la principale scena d’amore del film. Carini, vero? Soderbergh e Koepp ci stanno forse dicendo che ogni matrimonio ha bisogno di un filosofo e un guerriero? Di bugie ornamentali e di una verità primitiva? Di certo ci stanno dicendo che in un buon matrimonio le promesse degli sposi sono differenti solo all’apparenza, perché per George e Kathryn la verità e il loro amore coincidono.
Linguisticamente ‘Black Bag’ è un film algido e scintillante, a cominciare dal piano sequenza iniziale, forse l’unico vero virtuosismo di Soderbergh, in cui seguiamo la discesa di George/Fassbender negli inferi di un locale notturno e poi la sua risalita in superficie, con queste luci flare che bruciano e sfocano i neri in una rappresentazione quasi espressionista del conflitto tra verità e menzogna, quasi Ray Liotta in ‘Quei bravi ragazzi’ ma il senso della scena è l’opposto: raccontare un personaggio che attraversa un ambiente senza esserne cambiato, e nemmeno sfiorato.
Le recensioni sono generalmente ottime, ma alcuni dei più importanti critici americani non hanno gradito: ‘Black Bag’ senz’altro nega allo spettatore quasi tutte le gratificazioni immediate che un film di passione e spionaggio pieno di star e diretto dal regista di ‘Ocean’s Eleven’ sembrerebbe promettere. Il sesso è un elemento fondamentale del film ma è tutto nevrotico, tutto parlato, tutto fuori scena; l’estetica è sontuosa ma non scende a compromessi; Soderbergh è uno dei pochi registi che non sentono il bisogno di scusarsi di ambientare un film nel 2025 con orpelli retromaniaci o futuristici, estetizza la realtà della nostra epoca in modo talmente veritiero che a tratti è quasi insostenibile. Perfino la routine carismatica di Fassbender e Blanchett non è spesa come ci si potrebbe immaginare.
George e Kathryn sono irresistibili soprattutto l’uno per l’altra, gli importa “solo l’uno dell’altra” come nota astiosamente a un certo punto uno degli altri personaggi, e in una certa elegante misura la loro relazione taglia fuori perfino lo spettatore. Ma soprattutto con Soderbergh anche in questa parabola relativamente convenzionale la scena che arriva non è mai quella che ti aspetti. Qualcuno ci vedrà del genio, qualcun altro si rammaricherà che tradire e sovvertire le aspettative dello spettatore gli venga “così fottutamente facile”.