In attesa del verdetto della giuria, applausi per l'intenso ‘Jeunes Mères’ di Jean-Pierre e Luc Dardenne
E finalmente sulla Croisette le passioni si placano aspettando il Palmarès, mentre gli ultimi film affidano allo schermo il loro futuro.
In concorso sono passati gli ultimi tre film, tra cui il più atteso e già dato come favorito: ‘Jeunes Mères’ di Jean-Pierre e Luc Dardenne. E i Dardenne non hanno tradito le aspettative con il film più vero, entusiasmante e attuale tra quelli, pur belli, visti in questa edizione. ‘Jeunes Mères’ è di una tensione drammatica totale e coinvolgente: i fratelli hanno scavato a fondo su quello che mai viene detto quando si parla di inverni demografici, quando si parla sempre sulle spalle delle donne di aborti e adozioni. I Dardenne ci mettono a nudo, ci sbattono in faccia la realtà di fronte alle frasi fatte e ipocrite che costruiscono le nostre leggi, le comunicazioni, il nostro modo di pensare. Non hanno bisogno di dettati papali, solo di presentare cinque donne: Jessica, Perla, Julie, Ariane e Naïma. Vivono in una casa materna che le aiuta nella loro vita di giovani madri, cinque adolescenti che provano a costruire un presente migliore per sé stesse e per i propri figli. E si scontrano con le proprie madri incapaci, con i giovani che imbrogliando sulla parola amore le hanno messe incinte, si scontrano anche con il loro essere giovani in un mondo che niente offre alla gioventù per crescere. Aiutate con premura (che bella parola, scomparsa dal nostro vocabolario) dal personale attento e gentile del centro dove trovano riparo, non nascondono la loro fragilità, ma anzi esplode in rabbia, in pianto, nel drogarsi, nel bere, ma tutto viene condotto all’amore di madri. Film immenso nel suo delicato essere e non basta un fiume di applausi per dire grazie ancora una volta ai fratelli Dardenne.
Ancora in Concorso l’ultimo arrivato nel programma di Thierry Frémaux è il cinese ‘Kuang Ye Shi Dai’ (Résurrection) diretto da Bi Gan, un'odissea sensoriale, tra fantascienza, horror e poesia visiva, un film dove memoria umana e tecnologia si confondono con inaspettate variabili. Un film difficile, arduo, per il suo continuo reclamare attenzione, un film che pretende dallo spettatore una sottomessa partecipazione di fronte allo strabordare narrativo dell’autore. Certo la trama è un pretesto, non la narrazione. Protagonsita è una donna (la brava attrice taiwanese Shu Qi) che in un futuro post-apocalittico si ritrova quasi priva di sensi dopo un intervento chirurgico al cervello. In questo mondo devastato scopre il corpo inerte di un androide (l’intenso e commovente Jackson Yee), che cerca di rianimare. Ogni notte gli racconta episodi della storia della Cina, del paese in cui vivono e in cui anche l’oggi spesso è fantascienza, e i colori di Bi Gan lo mostrano. Il film racconta l’umanità in frantumi che fatica a raccogliere i suoi ultimi lacerti. Da ascoltare e riascoltare la colonna sonora, sempre fondamentale nell'universo di Bi Gan, firmata dal gruppo francese M83. Troppi sono scappati dalla proiezione cercando lidi più tranquilli e trovandoli magari fuori Concorso nello charmant ‘La venue de l’avenir’ di Cédric Klapisch, un film che nel suo delicato narrare pacifica lo spettatore e lo porta a sognare i tempi che sullo schermo si mescolano con grazia e sincero stupore velato di malinconia. Una storia parigina, tra Belle Époque e il presente. Nella Normandia di inizio Novecento conosciamo Adèle (una brava Suzanne Lindon) che sta partendo per Parigi, salutata dall’amato, per scoprire la madre che l’aveva abbandonata, in quei luoghi, ancora in fasce. Ai nostri giorni, a Le Havre un folto gruppo di ignari eredi si trova a discutere della cessione di una vecchia casa rurale che diventerà un centro commerciale; alcuni degli eredi sono incaricati di verificare la proprietà prima di cederla. Adèle intanto sta navigando verso Parigi e ha incontrato due giovani un fotografo e un pittore. Nella casa, oggi diroccata, da cui è partita entrano i quattro eredi volontari e scoprono un mucchio di fotografie e quadri che raccontano la storia dei loro avi ma soprattutto trovano un dipinto che sembra proprio appartenere al periodo impressionista. La vicenda è intrigante, e mantiene la tensione fino alla fine. Tra i quattro dell’oggi gigioneggia un apicoltore interpretato da un Vincent Macaigne in gran forma, al gioco partecipa anche la dolce cantautrice Pomme di cui s'innamora il più giovane dei quattro. In scena troviamo un’umanità in cammino e in tempi così bui poteva restare un miraggio. Applausi.
Terzo e ultimo film in Concorso è ‘The Mastermind’ di Kelly Reichardt, incentrato su un piccolo uomo ridicolo, un padre di famiglia benestante, insegnante al collegio, figlio di un grande magistrato, con una moglie che l’adora, come i suoi due bambini. E di questa felicità cosa ne fa? Niente. La spreca perché vuole più soldi, così con dei balordi organizza con successo un furto di quadri nel museo vicino a casa. Ma uno dei complici viene preso e fa il suo nome: comincia così a fuggire dalla famiglia, dalla città, dallo stato.Sono gli Stati Uniti degli anni Settanta del secolo scorso e la noia borghese si frantuma di fronte al mondo che cambia con hippy, femministe, disertori, la fine dell’apartheid… un vuoto che la regista ben racconta.
E ora la parola ai giurati, mai era successo che oltre la metà dei film fosse favorita, ma anche questo è Cannes.