Il Bayreuth, in attesa del 150°, l’ultima volta del ‘Ring’ di Schwarz e il nuovo allestimento di ‘Die Meistersinger von Nürnberg’
Rivedere a Bayreuth per la seconda volta il ‘Ring’ wagneriano del regista Valentin Schwarz, tanto contestato da critica e pubblico, è stato illuminante. In alcuni casi non basta assistere a uno spettacolo una sola volta, specialmente quando si tratta di regie elaborate e complesse come questa. Di ciò discutevo durante l’intervallo con il mio vicino di posto in platea, Pablo Heras-Casado, direttore d’orchestra di ‘Parsifal’ a Bayreuth, anche lui coinvolto in un allestimento discusso, quello di Jay Scheib, da vedere con gli occhiali per la realtà aumentata. Ma gli occhiali, ci siamo detti, sono in fondo l’ultima cosa necessaria per capire lo spettacolo.
Dopo tre anni di critiche e dibattiti, adesso è tutto – o quasi tutto – chiaro. Il ‘Ring’ di Schwarz, diretto felicemente dall’australiana Simone Young, che abbiamo sentito nella passata stagione alla Scala, in compagnia di alcuni degli interpreti di Bayreuth, Klaus Florian Vogt nei panni di un delicato Siegfried e Olafur Sigurdarson in quelli sanguigni del nibelungo Alberich, questo ‘Ring’, dicevo, racconta una saga familiare con delitti, amori e tradimenti, la storia della famiglia di Wotan, che ha i tratti di un boss mafioso, interpretato da Tomasz Konieczny, bravo ma un po’ monocorde. L’oro del Reno trafugato da Alberich è qui un bambino, il bambino in questione si scopre essere Hagen, figlio di Alberich, mentre Wotan e Alberich sono fratelli gemelli, come mostra il video iniziale, che li vede in lotta l’uno contro l’altro ancora feti nel grembo materno. Al regista non mancano intelligenza, coerenza, ironia.
L’ambientazione è altoborghese, con gli dei accomodati in un salotto di design firmato, Wotan dedito all’alcol e alle donne, le valchirie costrette a rifarsi il viso dal chirurgo estetico dopo la perdita delle mele di Freia che donano l’eterna giovinezza. Una vicenda umana, forse troppo umana, cui manca un convincente rapporto con il divino. In fondo Wagner racconta di dei che cedono il dominio del mondo agli uomini, e qui il passaggio non è risolto, non è chiaro. È chiaro invece che una delle chiavi interpretative è il rapporto conflittuale fra generazioni, vecchi e giovani che si combattono per il potere. Siegfried è l’insofferente badante di Mime, Fafner non è un drago, ma un anziano boss che si tiene stretto il tesoro di famiglia. Grane, il cavallo di Brünnhilde, è il suo fedele servitore, figura toccante e riuscita, che la segue in ogni vicenda e tenta di strapparla al suo destino. Ci sono alcune belle intuizioni in questa regia di non immediato accesso, e un finale straordinariamente potente.
Dal prossimo anno, il 150° del festival, si vedrà un nuovo ‘Ring’, in cui la parte visiva sarà costituita da un mix di video dei passati ‘Ring’ di Bayreuth, realizzato dall’intelligenza artificiale generativa e diverso in ogni replica. Ma la grossa novità è l’approdo di ‘Rienzi’, opera giovanile di Wagner, sul palcoscenico di Bayreuth dove non è mai stata rappresentata. E la si vedrà, pare, solo nel 2026, con la direzione d’orchestra di Nathalie Stutzmann, che ci ha dato modo di ascoltarne il magnifico preludio iniziale nel concerto all’aperto dello scorso anno.
Nel 2026 non si vedrà invece il nuovo allestimento di quest’anno, ‘Die Meistersinger von Nürnberg’, del regista Matthias Davids, che ha inaugurato il festival con un tocco leggero, pop, un po’ kitsch e da commedia. Sul podio c’è Daniele Gatti a trasmettere la sua visione gioiosa dei Meistersinger, e di luminosa bellezza, calibrato impasto di poesia, malinconia e vera maestà, senza trionfalismi.
A Matthias Davids, interprete e ora regista di musical e di opera, la critica tedesca rimprovera di non riflettere la densità filosofica della scrittura wagneriana e di non tenere conto di ciò che quest’opera ha significato per il nazismo. Ma su questi temi, che includono quello dell’antisemitismo nella figura di Beckmesser, si sono espressi efficacemente almeno un paio di registi, Harry Kupfer, e di recente Barrie Kosky. Matthias Davids dichiara di voler mettere in luce la ‘colossale commedia’ che i Maestri Cantori rappresentano, una storia di esseri umani, di passioni, di amicizie, di amori, e anche di ambizione e di lotta eterna fra tradizione e innovazione. Hans Sachs (un grande Georg Zeppenfeld), poeta calzolaio protagonista, è l’erede della tradizione dei maestri, ma l’incontro con il giovane poeta ‘rivoluzionario’ Walther von Stolzing, (il belcantista Michael Spyres) insofferente delle antiche regole, gli mostra un nuovo modo di fare arte. Sachs sarà il primo ad accorgersi che quella è la strada del futuro e aiuterà il giovane a prepararsi per il concorso canoro, ma nel contempo vede che la sua stella è al tramonto così come la sua età. L’anziano vedovo nutre infatti un’impossibile passione per la giovane Eva (la grintosa Christina Nilsson) tutt’altro che docile e sottomessa al padre, decisa a coronare il suo sogno d’amore con Walther. L’altro aspirante alla mano di Eva è Beckmesser (Michael Nagy, interprete eccellente), devoto alle regole dei maestri.
La serenata con il liuto trasformato in un luccicante strumento elettrico non è però così terribile come ci hanno abituato a ricordarla e il rockettaro Beckmesser in occhiali da sole a goccia non è né brutto né vecchio, bensì un pretendente attendibile, comico quanto basta per farci ridere dopo l’enorme rissa del secondo atto, quando esce zoppicante e ammaccato da una bibliocabina piazzata in una strada di Norimberga. Lo guardiamo con tenerezza e simpatia. E guardiamo anche le scene di questo allestimento di Andrew D. Edwards, vivaci, deliziose, fiabesche. Danzano i coristi e le coriste, danzano gli apprendisti specialmente nel terzo atto, alla festa di San Giovanni che assomiglia a una sagra di paese, con l’arco trionfale divenuto icona dello spettacolo, un’enorme mucca gonfiabile rovesciata e coloratissima, a cui la critica ha dato fin troppo rilievo.
Nel finale la corona di vincitore non si posa né sulla testa di Walther né su quella di Sachs, nonostante il famoso discorso di quest’ultimo sulla superiorità dell’arte tedesca. Walther ed Eva se ne vanno per la loro strada, rifiutando corona, regole, riti e tradizione. Al povero Hans Sachs non resta che uscire di scena insieme a Beckmesser, con cui si attarda a discutere la nuova arte del giovane cantautore. La regia è un piccolo capolavoro di scavo psicologico nei personaggi e di celebrazione del genere comico.
Il festival prosegue fino al 26 agosto (www.bayreuther-festspiele.de).