La miniserie australiana tratta dal romanzo di Richard Flanagan sui prigionieri della Burma Death Railroad
Dorrigo è un giovane studente in medicina australiano, alto, magro ma atletico, bello come un angelo caduto dal cielo, insomma è interpretato da Jacob Elordi (‘Euphoria’, ‘Saltburn’). È fidanzato con Ella, una ragazza piccola, carina e calcolatrice (interpretata da Olivia de Jonge, Priscilla Presley nell’‘Elvis’ di Baz Luhrmann) il cui nonno ha partecipato alla scrittura della costituzione australiana, in missione per aiutare Dorrigo a entrare in società e farlo diventare un importante chirurgo. Cosa in cui riuscirà, Dorrigo da anziano sarà un rispettato quanto temuto luminare, un santo con qualche piccolo complesso di onnipotenza. Un giorno, Dorrigo anziano, più fascinoso che bello (non più interpretato da Jacob Elordi ma dall’irlandese Ciaran Hinds) prende una scorciatoia pur di salvare una paziente e per questo viene messo sotto indagine da una commissione disciplinare.
In mezzo tra questi due Dorrigo, c’è quello ancora giovane e bello che deve partire per la Seconda guerra mondiale. Giusto prima di essere catturato dai giapponesi, e venire affamato in un campo in mezzo alla giungla thailandese, Dorrigo si innamora di Amy: sua coetanea ma anche moglie di uno zio più grande, interpretata dall’intensissima Odessa Young. Nelle lunghe giornate passate insieme alla zia acquisita, nasce un amore, se non propriamente incestuoso, quanto meno adultero in entrambi i sensi (Dorrigo si è sposato poco prima di prepararsi per la guerra). Preso tra il ghiaccio di Ella e il fuoco di Amy, tra la speranza di una vita ancora nel pieno del proprio fiorire e la disperazione di una prigionia disumana, Dorrigo va in frantumi.
‘The narrow road to deep north’ non è una serie leggera. Il romanzo omonimo da cui è tratta, scritto da Richard Flanagan e vincitore del Booker Prize nel 2014, è ispirato ad alcuni ricordi di prigionia del padre e alla figura di un soldato australiano realmente esistito, Edward Dunlop, morto durante la costruzione della Burma Death Railroad: una ferrovia che sarebbe servita ai giapponesi per invadere l’India (la strada stretta verso il profondo Nord del titolo), costruita appunto da prigionieri di guerra, di cui un terzo è morto per le condizioni di vita e di lavoro in quel campo. Nella finzione del libro e della serie, Dorrigo sopravvive ai suoi commilitoni ma non riesce a dimenticare quello che ha visto, neanche da anziano, così come non riesce a dimenticare il vero amore della sua vita, Amy, pur avendo vissuto molti anni vicino a Ella. I tre piani narrativi corrispondono a tre modalità dell’esistenza umana: l’amore, la guerra, la memoria; e si intrecciano in continui crescendo emotivi che fanno di ‘The narrow road to deep north’ una miniserie (cinque episodi, scritti da Shaun Grant e diretti da Justin Kurzer, con le musiche del fratello Jed Kruzer) in grado di spezzarvi il cuore e al tempo stesso farvi orrore.
Prendiamo due scene che, da sole, varrebbero la visione della serie – anche se fossero scene di due serie diverse –. Dorrigo incontra Amy in una libreria, durante un reading di poesia un po’ amatoriale. Si ritrovano sopra a spulciare gli scaffali e si mostrano le loro poesie preferite. Amy prende un’antologia di Saffo e gli mette davanti il frammento: “Tu mi bruci”. Sarà che viviamo tempi in cui a malapena le persone si seducono con emoticon su Whatsapp, ma vedere una storia d’amore sbocciare attraverso tre parole scritte secoli prima, solitarie al centro di una pagina bianca, mi ha mozzato il fiato.
Poche puntate dopo, invece, arriva una scena degna di ‘Game of Thrones’: quella della morte di un soldato, ferito a un piede, malnutrito e malato, percosso allo sfinimento come punizione per l’assenza di due suoi compagni da un turno di lavoro in cui lui era responsabile. Iniziano a picchiarlo davanti a tutti e continuano anche quando ormai non c’è più nessuno a guardare, quando è scesa la notte ed è iniziato a piovere. Anche qui: sarà che viviamo tempi in cui sta crollando l’utopia dei diritti universali, in cui ci sono esseri umani considerati meno umani perché diversi, perché “nemici”, ma a me è mancato il respiro finché la scena non è finita.
Quando la guerra finisce e i soldati giapponesi responsabili di questo crimine si danno alla macchia, non si capacitano del ribaltamento dei ruoli. Dovevano essere considerati come eroi nazionali per la costruzione della ferrovia e invece li perseguitano per aver ucciso «un solo uomo… neanche un uomo: un prigioniero». Il comandante responsabile è un samurai sadico che segue il codice del bushido: essendosi arresi, quegli uomini non sono più tali, non sono degni di pietà. Il piano narrativo del Dorrigo anziano corrisponde più o meno alla nostra contemporaneità: vive in una casa d’architetto con vista su una piccola spiaggia e ha avuto successo nella sua professione ma è anche incapace di amare Ella, così come le donne con cui la tradisce. Una di queste lo lascia perché di notte Dorrigo ha degli incubi spaventosi, grida i nomi dei soldati morti in quel campo. Dorrigo non riesce a dimenticare il suo passato e questa sembra la causa della sua sofferenza, la sua condanna. Ha scritto un libro di memorie e va in giro a presentarlo ma ripete sempre lo stesso discorso: «L’orrore può essere contenuto in un libro, gli può essere data forma e significato. Ma nella vita l’orrore non ha né forma né significato, semplicemente è». Una morale amara, nichilista. Fosse tutto qui, anche ‘The narrow road to the deep north’ sarebbe solo una serie triste e un po’ cinica. Quando però Dorrigo deve fare un discorso per presentare i disegni di “Rabbit”, un soldato morto in prigionia che ha ritratto le condizioni del campo in piccoli acquerelli drammatici, il discorso cambia. Non riesce a fermarsi alla constatazione esistenzialista che in questo mondo esiste l’orrore, esistono i mostri. Aggiunge: «La memoria è l’unica vera giustizia. La nostra unica difesa per evitare che le miserie del passato si ripetano».
Ma c’è un altro piano interpretativo. Ovvero che l’incapacità di amare di Dorrigo sia legata all’incapacità di soffrire fino in fondo per quello che gli è successo in guerra, come se essendosi anestetizzato per andare avanti, per tornare alla vita di tutti i giorni, non gli sia più possibile innamorarsi.
‘The narrow road to the deep north’ non poteva finire nelle televisioni occidentali in un momento storico più adatto a recepire il suo messaggio: se accettiamo e normalizziamo gli orrori della guerra, se contestualizziamo le sofferenze indicibili di altri esseri umani per giustificare la disumanità, allora il nostro cuore si inaridirà come quello di Dorrigo. Andremo avanti nelle nostre cose come nulla fosse, ma non saremo più in grado di amare.
Siamo ancora in tempo?