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Lontane ma vicine, ‘La voix humaine’ e ‘Cavalleria rusticana’

La regista Emma Dante racconta la sua visione delle opere di Poulenc e Mascagni che il 15 settembre apriranno la stagione del Lac

La voix humaine
(Rocco Casaluci)
8 settembre 2025
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Un’opera è «un organismo vivente che si trasforma e si adatta». E così sarà anche, dal 15 al 21 settembre, per ‘La voix humaine’ e ‘Cavalleria rusticana’ che apriranno la stagione del Lac nella rilettura della regista e drammaturga Emma Dante. E non solo suo perché, come ci ha raccontato, un allestimento operistico è appunto un organismo che vive e si adatta in base a orchestra e direttore – a Lugano avremo l’Orchestra della Svizzera italiana diretta da Francesco Cilluffo –, interpreti (e in scena avremo una importante presenza di attori e attrici senza parti cantate), tecnici. E poi ovviamente le musiche e i testi: ‘Cavalleria rusticana’, con il testo di Giovanni Verga trasformato in libretto da Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci che un giovane Pietro Mascagni compose in un paio di mesi per riuscire a presentare il lavoro a un concorso; Francis Poulenc era invece già affermato quando, nel 1958, decise di riprendere il dramma ‘La voix humaine’ scritto da Jean Cocteau una trentina di anni prima.

Da una parte una storia di amore, gelosia e vendetta in un piccolo paese siciliano della fine dell’Ottocento; dall’altra una camera da letto della borghesia parigina dove una donna parla al telefono con l’amante che ha deciso di abbandonarla. Due opere «lontanissime», ci ha subito detto Emma Dante. «I titoli delle opere liriche non li decido io, me li consigliano, me li offrono e io, se ritengo che c’è qualcosa nelle mie corde, accetto volentieri» ha spiegato la regista. Il classico abbinamento vede la ‘Cavalleria’ di Mascagni con i ‘Pagliacci’ di Leoncavallo; il Teatro comunale di Bologna – il progetto che vedremo al Lac iniziò lì nel 2017 – propose invece ‘La voix humaine’ «che tra l’altro non conoscevo come opera, ma solo come pièce di Cocteau, quindi lì per lì rimasi un po’ così».

Quindi cosa l’ha spinta a superare la perplessità iniziale?

Sono andata ad ascoltare l’opera e poi ho trovato proprio in questa differenza, in questa lontananza, un motivo che mi stuzzicava: l’idea di raccontare due mondi così diversi, ma comunque dove protagoniste erano sempre due donne.

Quindi una donna scura, in lutto, siciliana, piena di tabù, di cose antiche datate come il libretto di ‘Cavalleria’. E una donna più borghese che comunque non è che soffriva di meno. In tutti e due i casi parliamo sempre di abbandono d’amore. Abbiamo quindi lavorato su questo cromatismo del sud nero e della borghesia bianca, con queste luci forti al neon in una stanza di ospedale dove lei viene controllata, sorvegliata quotidianamente perché, essendo impazzita d’amore, rischia di suicidarsi.

Due storie di donne raccontate, in entrambi i casi, da uomini: il soggetto originale, il libretto, le musiche.

Sì, sono tutti uomini. Ma per ‘Cavalleria rusticana’, più che il fatto che sia stato scritto da uomini, è proprio un libretto datato. Già ‘La voix humaine’ entra in una dimensione più cerebrale, più mentale e che riusciamo ad accettare, ma ‘Cavalleria rusticana’ proprio è una storia dell’Ottocento che – per fortuna – non ci riguarda più o almeno non ci riguarda più del tutto, insomma diciamo che l’abbiamo un po’ superata.

Quindi sì, è vero, sono due storie raccontate da uomini e dove le donne vengono raccontate come si sono sempre raccontate le donne fino a qui e fino a chissà quando. ‘Cavalleria’ io l’ho affrontata mettendo in gioco tutta una serie di aspetti simbolici legati all’iconografia religiosa della Pasqua, del Sud, che è la cosa che mi piace di più: tutta la parte mistica di ‘Cavalleria’ è secondo me molto più interessante del pettegolezzo di lei abbandonata da lui che se la fa con una sposata. Mentre la musica, le ambientazioni, l’atmosfera che Mascagni crea in quest’opera è qualcosa di indimenticabile. Infatti non la abbiamo dimenticata: non certo per la storia, ma per quello che la musica è riuscita a fare.

Abbiamo diversi esempi di allestimenti che spostano nel tempo e nello spazio l’ambientazione originaria. Qui invece siamo rimasti abbastanza fedeli.

Io cerco sempre di essere fedele al libretto… poi è difficile, essere fedeli ai libretti delle opere liriche, perché sono storie difficili da mettere in scena per un regista. Però per fortuna c’è la musica, c’è il canto, c’è quella cosa che dicevo prima dell’esaltazione dei sentimenti, delle emozioni: tutto diventa più astratto, più surreale, meno concreto. Ma questo non significa che io perda di vista l’idea di lavorare con la tradizione e di usare l’iconografia mia personale per rivisitare dei mondi: non che i miei siano degli allestimenti tradizionali, ma degli allestimenti che lavorano con la tradizione, rompendo gli schemi dove serve.

Per esempio ‘La voix humaine’ io l’ho ambientata in ospedale, non nella stanza d’albergo di una donna molto borghese che parla con un uomo molto borghese al telefono. Io l’ho portata in un ospedale dove ci sono un dottore e due infermiere che controllano che non si faccia del male. Poi questa stanza d’ospedale si trasforma, perché lei comunque ha le visioni, parla al telefono con una voce che non esiste ma che è solo dentro di lei. Sono idee che ho avuto ma senza strafare perché, ripeto, la musica comanda sempre nell’opera lirica: non c’è niente che possa essere più forte.

Con un’opera lirica si è quindi meno liberi, rispetto al teatro che non ha il ‘peso’ della musica?

La musica è un viatico, non un peso. È un mezzo che ti fa arrivare da un’altra parte. Per quanto riguarda l’essere liberi… la libertà per me ci deve sempre essere: quando un artista decide di fare una cosa, deve essere libero, perché se si sente prigioniero, ha sbagliato a scegliere di fare quello che sta facendo. Sono libertà diverse: io ho fatto cinema, ho fatto l’opera, il teatro eccetera e in ognuna di queste strade mi sono sempre sentita libera… Poi che cosa vuol dire essere liberi? Non lo so.

Mi rendo conto che la domanda era forse un po’ troppo filosofica…

Ma sa perché? Perché in realtà la libertà totale non può esistere, nel mio mestiere, perché il mio è un mestiere di condivisione, di solidarietà, di incontro. Io non posso fare il teatro da sola, quindi non posso essere veramente libera fino in fondo. Che me ne farei io di questa libertà se non avessi gli attori, le attrici, i cantanti, i musicisti, i costumisti, gli scenografi?

Tornando al suo allestimento di Mascagni e Poulenc, nei suoi lavori – e mi scuso qui per la semplificazione – il corpo ha sempre una certa centralità. Per ‘Cavalleria rusticana’ e ‘La voix humaine’ come si traduce questa sensibilità?

La traduco sempre portando con me gli attori e le attrici della mia compagnia. Sono loro i corpi che si mettono in relazione con l’anima della musica, e poi portando anche i cantanti a interpretare i loro personaggi, considerando anche di avere un corpo e non soltanto la voce. Loro non cantano, ma sanno essere vivi sulla scena.

Tra le due opere, quale ha una maggiore corporeità secondo lei?

‘La voix humaine’ è un testo molto mentale, molto cerebrale. Però l’opera di Poulenc è un monologo, mentre nel mio allestimento lei non è mai sola: è circondata dal dottore, dalle infermiere, poi è circondata da queste visioni, si rivede giovane con lui quando si amavano, vede lui con l’amante. ‘Cavalleria’ invece è proprio uno scannatoio, è il mattatoio della Sicilia dove tutti si accoltellano, dove c’è gelosia, proprietà privata, prepotenza, diritto d’onore, senso di appartenenza, vergogna…

‘Cavalleria rusticana’ più corporeo e ‘La voix humaine’ è più psicologico, quindi?

Il libretto di ‘Cavalleria’ per me non ha nulla di psicologico, al contrario della musica: c’è secondo me una grande discrepanza tra la storia di ‘Cavalleria rusticana’ e la musica di ‘Cavalleria rusticana’. È come se non andassero tutte e due nella stessa direzione. Per questo, come accennato, alla fine ho messo dentro la Pasqua: per me questo misticismo è il tema più importante, con il popolo che si riunisce, canta le preghiere. Sicuramente più interessante di pettegolezzi e tradimenti.