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Donne pazzescamente innamorate

Si è aperta al Lac la stagione 25/26 con il dittico operistico La Voix Humaine di Poulenc e Cavalleria Rusticana di Mascagni per la regia di Emma Dante

Da ‘Cavalleria’, Alfio con il suo carretto trainato da ballerine-cavallo
(Ranzi/Casalucci)
16 settembre 2025
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Quando nel 2017 fu proposto per la prima volta a Bologna l’insolito dittico operistico ‘La voix humaine’ di Francis Poulenc e ‘Cavalleria rusticana’ di Pietro Mascagni (che tradizionalmente si abbina a ‘Pagliacci’ di Leoncavallo) la grande domanda fu: ma perché? Che cosa c’entra questo con quello? Ebbene, ammesso che sia davvero necessario trovare qualcosa che unisce due atti unici arbitrariamente accostati, qualcosa c’entra. Di qua e di là si hanno due donne pazze per amore, sedotte, abbandonate e infelici, che con la loro divorante gelosia e solitudine provocano catastrofi, un omicidio da una parte e forse un suicidio dall’altra. Diversissime sul piano musicale e drammaturgico, le due opere – o per affinità o per contrasto – insieme funzionano, almeno in questo doppio allestimento caratterizzato dalla regia ispirata di Emma Dante, vero fattore unificante del dittico.

Un’altra storia

In ‘Cavalleria’, tratta dall’omonima novella di Giovanni Verga e andata in scena la prima volta nel 1890, siamo in una Sicilia antica, rurale e corale, governata da passioni eterne e ineluttabili; nell’opera di Cocteau e Poulenc, del 1959, siamo in una città come Parigi, nella solitudine di un’anonima stanza d’appartamento. In ‘Cavalleria’ un intero paese assiste e partecipa al triangolo amoroso di Turiddu, Lola e compare Alfio, e alla disperazione di Santuzza; nella ‘Voix humaine’ il dramma di Elle si consuma in un monologo incandescente al telefono, che ci chiede di indovinare le risposte dello sciupafemmine dall’altra parte del filo e l’invadenza irritante della centralinista. Ma nell’allestimento di Emma Dante si racconta un’altra storia. Elle, la donna abbandonata, non è nella sua camera da letto, e dall’altra parte del telefono non c’è nessuno. La stanza rosa dalle pareti imbottite è quella di una clinica psichiatrica e la signorina a cui si rivolge la donna è una delle due infermiere che l’assistono. È pazza certo, questa donna, e dalla sua mente si proiettano personaggi della vicenda amorosa da lei vissuta o immaginata: lei stessa con l’amante in tempi felici, la rivale più giovane che glielo porta via. E non manca neppure il medico della clinica. Ciò che è straordinario di questa regia è come, raccontando una storia diversa ma pertinente, Emma Dante riesca a non tradire l’originale, incastrando perfettamente la ‘sua’ storia all’interno del dramma di Cocteau, senza traumi per lo spettatore. E ci regali un finale diverso ma convincente.

Una grande protagonista

‘La Voix humaine’ si fonda sull’interpretazione, e nella sua prima originale versione in prosa è stata cavallo di battaglia di celebri attrici, da Anna Magnani a Simone Signoret, nonché spunto per il cinema da Rossellini ad Almodovar. Questa produzione vede in scena una grande protagonista, Anna Caterina Antonacci, che ha accompagnato l’opera dal suo debutto bolognese fino a oggi, diventandone l’interprete par excellence, e assecondando nel tempo l’evoluzione del suo personaggio, dalla disperazione pura fino a un dolore più composto, in apparenza più lucido, ma non meno tragico. Con lei in scena i bravi attori e attrici della compagnia di Emma Dante, che ritroviamo nell’opera successiva. Il libretto, adattato dallo stesso Jean Cocteau per i teatri lirici quasi trent’anni dopo la prima del testo in prosa, è accompagnato da una partitura tutta dedita all’efficacia scenica, dove silenzi e pause per volere dello stesso Poulenc sono legati più al gesto interpretativo che orchestrale, ma l’Osi diretta da Francesco Cilluffo ha reso con convinzione “una musica che senza spiccate qualità espressive traduce l’essenzialità degli accenti ora patetici ora drammatici della donna in un insieme di tocchi precisi, delicati, di una semplicità solo un poco impreziosita”.

La sua Sicilia

Dal dramma borghese e moderno di Elle si scivola attraverso il fiato avvolgente di Mascagni in quello contadino e ancestrale di Santuzza, che disonorata da Turiddu e scomunicata dalla Chiesa, vive con angoscia la sua condizione di reietta ai margini della società. Per mettere in scena la sua Sicilia Emma Dante sottolinea la dimensione della coralità e della religiosità. Tutto il paese – una folla di figuranti, danzatori, attori e coro interamente in nero – assiste allo svolgersi del dramma nel giorno di Pasqua, accompagnato da una delle sacre rappresentazioni di cui abbiamo un esempio anche sul nostro territorio. In scena pochi elementi lignei si uniscono e si separano per dare forma a un balcone, una casa, una chiesa, una tribuna, una terrazza. La scena è essenziale, quasi austera, nel nero totale dei costumi spiccano i ventagli colorati delle donne a indicare una passionalità nascosta, sotterranea ma persistente. Momento tra i più riusciti l’entrata di compare Alfio con il suo carretto trainato da ballerine-cavallo, in mano la frusta simbolo di dominio e ruvida sensualità, che sintetizza il rapporto uomo-donna nella realtà dell’epoca. Dall’euforia all’approssimarsi della tragedia attraverso un rituale collettivo pagano e cristiano al tempo stesso, Santuzza interagisce con la processione pasquale prendendosi la croce di Cristo. Nel celebre intermezzo dell’opera scendono dall’alto croci che sembrano imprigionare la ragazza, mentre Cristo si allontana chiudendo la porta della chiesa dietro di sé. Sono immagini potenti ed efficaci, che trovano il loro compimento nel finale con l’identificazione di mamma Lucia, madre di Turiddu, con la madre di Cristo – cosa che la critica trovò sconveniente nel 2017 – e l’allusione al ‘Compianto sul Cristo morto’, gruppo scultoreo in terracotta di Niccolò Dell’Arca, conservato nella chiesa di Santa Maria della Vita a Bologna.

Un cast eccellente ha emozionato il pubblico della prima, nonostante l’indisposizione di Veronica Simeoni (Santuzza) che ha supplito con l’efficacia dei suoi mezzi interpretativi attoriali. Spicca, meravigliosa e senza sforzo, la voce di Stefano La Colla (Turiddu), ma non si dimenticano la cupa virilità di Alfio (Dalibor Jenis), la grazia discreta e sensuale di Lola (Lucrezia Drei) e la scurissima tragicità di mamma Lucia (Agostina Smimmero). Eccellente la prova del Coro della Radiotelevisione svizzera, carica di luminosità e passione, sotto la guida di Donato Sivo, così come l’Osi diretta da Francesco Cilluffo con singolare veemenza, ardore, e fasci di travolgente malinconia in una musica che dal pubblico vuole innanzitutto abbandono.

Il dittico si replica al Lac fino al 21 settembre. Da vedere assolutamente.