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‘Cabaret Sorelle Forelle’, tre clown donne per l’eredità Dimitri

Il 18, 19 e 20 settembre al Teatro Dimitri di Verscio il nuovo spettacolo di Masha Dimitri, Nina Dimitri e Silvana Gargiulo

Il 18, 20 e 21 settembre al Teatro Dimitri
17 settembre 2025
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A volte i titoli nascono da una casualità linguistica e finiscono per dire più di quanto si immaginasse. ‘Cabaret Sorelle Forelle’, il nuovo spettacolo di Masha Dimitri, Nina Dimitri e Silvana Gargiulo, ha l’aria di una burla privata, e in effetti lo è. «Mia sorella Nina adora fare i giochi di parole», racconta Masha Dimitri. «Ci siamo chiamate tra di noi ‘Sorelle Forelle’. Poi il regista ha proposto di aggiungere ‘Cabaret’ e così è rimasto. ‘Forelle’ vuol dire trota in tedesco, fa rima con sorelle e ci faceva ridere». Il debutto, fissato per domani, con repliche per sabato e domenica, al Teatro Dimitri di Verscio, coincide con una data impossibile da ignorare: quello che sarebbe stato il 90esimo compleanno di Dimitri, padre, maestro, fondatore di una filosofia del comico che ha fatto scuola in Svizzera e non solo. «Volevamo mettere la vita di mio papà in scena, ma era un progetto troppo ambizioso. Ci sono tante cose incluse in questo spettacolo, come le musiche che lui suonava, e già il fatto che siamo tre donne insieme è un omaggio a papà». L’‘eredità Dimitri’ non è, per Masha, una formula da difendere, ma un metodo: l’attenzione ai dettagli, la disciplina sotto la leggerezza, un lascito che si rinnova come laboratorio invece di irrigidirsi in monumento. «Mio papà è molto presente in tutto quello che faccio, che poi forse a volte faccio anche il contrario di quello che avrebbe fatto lui. Oggi far parte della famiglia Dimitri significa portare in giro, ovunque, il suo mondo: la filosofia, la poesia, il modo di far ridere».

Quando si pensa ai clown mainstream, quelli dell’immaginario collettivo, viene subito in mente la stessa immagine: un uomo, corpulento, col naso rosso. Ma quello che accade in Cabaret Sorelle Forelle, sarà qualcosa senza precedenti noti: tre donne clown insieme non si erano mai viste. «Io non conosco un trio di clown donne. Ci sono donne clown bravissime, ma sempre da sole o in coppia con un uomo». Ma il problema non si riduce alla parità di genere, riguarda la sopravvivenza stessa della specie. «Mancano clown in generale: abbiamo bisogno assolutamente di più clown che fanno proprio ridere, che ci fanno dimenticare un attimo questo mondo. Forse questa è la nostra missione, in generale».

In ‘Cabaret Sorelle Forelle’ non si assiste a una successione di numeri qualsiasi, ma all’incontro di tre identità clownesche che trovano il loro equilibrio in un triangolo equilatero: Nina Dimitri come clown bianco, Masha Dimitri come presenza quieta, Silvana Gargiulo come forza tragicomica. «In tre non ce l’avremmo fatta senza uno sguardo esterno», ammette, riferendosi al regista Ueli Bichsel, che le ha guidate nello sviluppo dei personaggi. «Ci ha aiutato a scoprire i nostri personaggi. Ci fa improvvisare, ci spinge a cercare cose, anche apparentemente banali. Per esempio il rumorista: io volevo provarci, non sapevo bene come, e facendo esperimenti tra di noi siamo morte dal ridere». Il risultato è un mosaico di numeri musicali, mimici, clowneschi, con poche parole comprensibili a tutti: «Non raccontiamo una storia. C’è un ritmo che avanza, succedono cose tra noi personaggi, ma non c’è il “c’era una volta”».

Comicità poetica

Parlando emerge una distinzione fondamentale: non tutti i clown fanno ridere allo stesso modo. In questo senso, la definizione di “comicità poetica” calza perfettamente allo spettacolo, e finisce per rimettere in ordine anche le mie idee su dove collocare la poesia nel piano cartesiano dei clown. «Non so se hai in mente al circo quei clown che si picchiano, che piangono: questo è un modo meno poetico». Il trio sceglie una comicità che si insinua tra le righe. «Noi abbiamo scene che sono poesia pura».

È un cabaret, sì, ma con una vena profonda, che porta a galla – senza proclami – i temi dell’integrazione, dell’accettazione, della diversità. «Lavoriamo in un modo che ci permette di andare più in profondità, dunque questi temi spuntano, sono presenti, sempre in chiave comica». Ed è forse proprio questa capacità di far emergere l’imprevisto a spiegare perché la vita del clown sembri non esaurirsi mai: ogni spettacolo apre un varco per l’imprevisto. «È un laboratorio continuo di crescita e sviluppo». La vita di un clown è infinita: un cambio di maschere che non si esaurisce mai, un mestiere che vive di metamorfosi, e che perciò non muore.