Speciale Economia

Usa: debiti a non finire

Mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump elabora un disegno di legge che prevede massicci tagli fiscali finanziati dal debito, aumentano i rendimenti dei titoli di Stato a lungo termine. È un campanello d'allarme e non si intravede una distensione.

Di recente anche Moody’s ha declassando il rating del debito statunitense dal livello più alto. Il motivo è chiaro: non sono in vista né una riduzione della spesa pubblica né una migliore disciplina di bilancio. È una valutazione che si evince anche dalle previsioni del Congressional Budget Office, un ente trasversale ai partiti del Congresso statunitense. La montagna di debiti cresce incontrollata e per l’anno in corso è previsto un disavanzo di 1’900 miliardi di dollari. L’ammontare equivale al 6,2% del Pil previsto per il 2025, continuando in tal modo, per così dire, la tradizione americana del deficit degli ultimi 50 anni, con solo la breve eccezione del secondo mandato del presidente Bill Clinton.

Un’espansione così rapida del debito nazionale non lascia indifferente il mercato dei capitali statunitense: il rendimento dei treasuries funge da barometro delle preoccupazioni riguardo a congiuntura, politica monetaria e fiscale. Non sorprende dunque che i tassi di interesse si mantengano attualmente su livelli elevati, con il decennale attorno al 4,5 percento. L’erratica politica doganale offusca le prospettive economiche e ha un impatto negativo sulla sicurezza della pianificazione delle imprese. Una recente asta di titoli di Stato a 20 anni evidenzia le sfide del prossimo futuro: la scarsa domanda ha spinto il rendimento oltre il 5 percento. Quest’anno gli Usa dovranno rifinanziare una parte consistente del loro debito giunto a scadenza in un contesto oneroso di tassi elevati, un’evoluzione a lungo termine poco sostenibile perché una parte sempre più crescente della spesa pubblica sarà vincolata per onorare il debito.