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La ‘tassa sulla salute’ non va in vacanza

La Lega lombarda getta benzina sul fuoco: ‘È così fuori luogo chiedere un contributo dei frontalieri a favore del servizio sanitario italiano?’

Il tema è più caldo che mai
(Ti-Press)
18 agosto 2025
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Non va in vacanza la ‘tassa sulla salute’. Anzi, il tema è sempre più caldo, anche perché c’è chi getta benzina sul fuoco. Nella fattispecie una figura di primissimo piano della Lega lombarda, vicepresidente in Regione Lombardia della commissione d’inchiesta ‘Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro’, per diciotto mesi parlamentare. La consulente per i lavoratori frontalieri, Silvana Snider, più che convinta della bontà della ‘tassa sulla salute’, nei giorni scorsi ha snocciolato i numeri e chiesto ai cittadini se sia così strano far contribuire al servizio sanitario nazionale italiano i frontalieri. L’ex parlamentare si è rivolta dal suo profilo Facebook ai lavoratori dipendenti, in Italia e Svizzera, ad artigiani, commercianti, professionisti, pensionati, contribuenti in generale, ponendo loro un quesito: “Secondo voi è così fuori luogo chiedere un contributo dei frontalieri a favore del servizio sanitario italiano?”. Le critiche, come era facile prevedere, si sono sprecate. Anche perché la Lega in occasione della discussione sulla nuova fiscalità dei frontalieri tuonava: “Non un euro in più preso dalle tasche dei frontalieri”. Argomenta Snider: “Da regolamenti Ue il servizio sanitario si paga e ottiene dove si lavora. La Svizzera dà un’opzione ai frontalieri G che possono scegliere se avere il servizio nella Confederazione con trattenuta in busta paga della cassa malati o se averlo nel Paese di domicilio. La maggior parte sceglie il sistema sanitario italiano. Fino al 1999 i frontalieri erano obbligati a pagare in Svizzera e a versare in Italia un contributo per sé stessi e i familiari, poi più niente né al di là né al di qua del confine. Nel 2023 lo Stato, dopo le verifiche opportune anche a seguito di nuove disposizioni fiscali per i nuovi frontalieri, ha ritenuto opportuno applicare un contributo ai frontalieri che optano per il sistema sanitario italiano (quei frontalieri esclusi dai nuovi accordi detti ‘vecchi frontalieri’, ndr). Molti si sentono defraudati perché chiamati a contribuire, se scelgono il sistema Italia. Chi ha scelto il servizio sanitario svizzero paga dai 300 franchi in su al mese per persona. Chi opta per l’Italia dovrà pagare il 3% del reddito netto (la media sarà di 100 euro mese) familiare. Sinceramente a me non sembra una cosa così scandalosa. Di logica, dove si usano i servizi, si paga. E i servizi sono quelli di cui beneficiano anche coloro che lavorano in Italia, non sempre perfetti, ma ci sono. Su 80mila vecchi frontalieri con le loro famiglie solo lo 0,2% ha scelto la Svizzera, gli altri hanno optato per l’Italia e non pagano nulla, usufruendo però del servizio”.

‘Le somme recuperate rimarrebbero in Italia’

Nei giorni scorsi sul balzello è nuovamente intervenuto l’assessore regionale competente Massimo Sertori, leghista doc: “Torno a ribadire che non è giusto parlare di una tassa, in quanto si tratta di un contributo. E voglio fare anche un esempio per spiegare l’incidenza e l’utilità: se un ‘vecchio frontaliere’ (chi lavora in Svizzera da prima del luglio 2023 quando è entrato in vigore l’accordo italo-svizzero sulla nuova fiscalità dei frontalieri, ndr) guadagnasse 4mila euro netti, dovrebbe versare come contributo (pari al 3%) 120 euro al mese per l’assistenza sanitaria che sarebbe per lui e per i suoi familiari. Il frontaliere può anche decidere di avvalersi dell’assistenza sanitaria svizzera, ma pagherebbe come minimo 350 franchi al mese e solo per lui senza estensione ai familiari”. Sertori ha ribadito che le “somme recuperate con questo contributo rimarranno in Lombardia, per finanziarie bonus a favore del personale sanitario in servizio in strutture a ridosso del confine”. Nessuno, per ora, fornisce però notizie certe su come sarà applicata la ‘tassa sulla salute’. Al Pirellone dicono che se ne saprà di più dopo che il Ministero della sanità, di concerto con quello dell’economia, avrà approvato i decreti attuativi. Pare comunque scontata l’autotassazione: i frontalieri dovranno dichiarare quanto guadagnano, in quanto la Svizzera contraria al balzello non ne vuole sapere di fornire dati sensibilissimi. Intanto sembra tramontata l’ipotesi di destinare una parte del gettito (30 milioni di euro l’anno) a un non meglio definito ‘welfare di frontiera’. Per ora le organizzazioni sindacali non rispondono alle considerazioni di Snider e Sertori, riservandosi di farlo il prossimo 5 settembre, giorno in cui a Como è stato convocato un incontro dei quattro Consigli sindacali interregionali. L’obiettivo è definire un orientamento comune e un calendario unitario di iniziative da portare avanti nelle prossime settimane.