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Giorgio Monti, medico di guerra: a Gaza è l’apocalisse

La testimonianza del responsabile di 'Emergency’ nella Strisca: ‘Mai vista una devastazione del genere. Qui manca tutto’

(keystone)
20 maggio 2025
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60 anni, a Gaza dallo scorso mese di ottobre, il dr. Giorgio Monti è coordinatore medico di ‘Emergency’ nella Striscia, dove la Ong ha due cliniche. Medico con importante esperienza nelle aree di conflitto, dall’Afghanistan al Sud Sudan, afferma di non aver mai visto una situazione tanto estrema. Manca ormai tutto, la vita della popolazione è insostenibile. Come le altre Ong di intervento d’urgenza, Emergency conta sulla generosità dei privati per poter continuare a operare nell’inferno della Striscia di Gaza. Gli chiediamo dapprima se siamo veramente di fronte a una guerra, perché l’impressione è quella di essere di fronte a un massacro, dove più che combattimenti ci sono bombardamenti sulle zone urbane. «Sì, è pure la mia impressione. Sono qui da ottobre, non ho visto neanche un militare. Vero è che noi nelle aree cosiddette “buffer”, di interesse militare, non possiamo andare, però l’impressione netta è che ci sia una forza che bombarda e che non ci sia un combattimento vero e proprio: se uno va a guardare i numeri dei feriti militari si rende conto che non è una battaglia nel vero senso del termine».

Dalla rottura della tregua sembra che vi sia un’escalation continua dei bombardamenti. Conferma?

Sì, la pressione aumenta. Dalla notte del 16 maggio per esempio i bombardamenti sono diventati più intensi nell’area dove mi trovo, a Deir el-Balah nella zona centrale. Di notte in particolare si sentono i cannoneggiamenti dal mare, i tank, le raffiche, le esplosioni, gli aerei, i missili, le bombe che cadono a pochi chilometri da qui. Arrivano ripetutamente degli allarmi a non frequentare le aree limitrofe. Vengono mandate delle comunicazioni via telefono, con i vari social e anche attraverso le organizzazioni non governative per dire di evacuare certe aree. Tutta la Striscia è divisa in lotti numerati, per cui si dice dal numero tale al numero tale andate via perché diventano zone militari. La sensazione è quella di essere qui un po’ come dei topi in gabbia perché non ci sono vie di fuga.

In genere noi giornalisti segnaliamo il numero di morti, però dal suo osservatorio sul terreno vi è ben altro a determinare questa immane tragedia, penso in particolare ai traumi psicologici, alla sofferenza invisibile, la perdita di una casa, dei propri cari, la mancanza di un futuro.

Quello che lei dice è fondamentale: purtroppo noi vediamo la punta dell’iceberg quando parliamo di una guerra. Per quanto drammatico, il numero dei morti è soltanto una piccola parte della tragedia. Non a caso molte armi da guerra sono fatte per ferire, non per uccidere. Tutti i feriti sono delle piaghe che continueranno per anni.

E poi c’è la fame e la sete, che provocano denutrizione, malattie, morte.

Sì, è una grande arma micidiale che viene usata volutamente per colpire la gente: non c’è acqua, l’acqua potabile costa 7 euro al litro, un sacco di farina costa 300 dollari e quindi la fame, il disagio, lo sfollare senza possibilità di scappare perché la gente non può dire “vabbè, vado via, la risolvo”, perché i confini sono chiusi.

Ridurre in fin di vita lo si può fare anche senza le armi convenzionali, dunque. Cosa vede lei quotidianamente?

È un dramma nel dramma, una costante pressione psicologica ma anche fisica perché non avere da mangiare, non avere da bere, non avere l’acqua per lavarsi, è terribile... Noi vediamo un sacco di malattie legate a questi aspetti. Malattie della pelle, pidocchi, scabbia, eritemi, infezioni dovute alla scarsa igiene. Allo stesso modo vediamo gastroenteriti sempre più frequenti; adesso sta arrivando il caldo e ci sono problemi con la cattiva igiene degli alimenti e gli alimenti di scarsa qualità; vediamo un numero crescente di persone deperite, stiamo facendo uno screening anche nelle nostre cliniche dei bimbi per lo stato nutrizionale, cominciamo a vedere in modo significativo bimbi con malnutrizione severa. Malnutrizione severa non significa bimbi un po’ magri per intenderci, è una serie di danni importanti, un grave decadimento, e cominciamo a vedere una percentuale molto significativa considerando che a Gaza questo decadimento dei bimbi non c’era mai stato.

E lei personalmente come riesce ad affrontare le sue giornate, si sente in pericolo, riesce a trovare di che cibarsi?

Noi di Emergency in questo contesto estremo ci consideriamo dei super privilegiati. Io abito in una casa in muratura che è segnalata alle autorità militari, cioè dove abitiamo noi internazionali abbiamo la cosiddetta “deconfliction”, cioè viene segnalato il posto alle autorità militari che sanno dove sono gli operatori umanitari, dove sono gli ospedali.

Spesso però gli ospedali, così come le scuole, i campi profughi, vengono bombardati.

Sì, chiaro. Dunque quando una bomba prende di mira un ospedale non è uno sbaglio, viene colpito per scelta precisa. Quindi noi abbiamo un certo grado di pericolo oggettivo: ti abitui a conviverci abbastanza rapidamente, perché impari a non sentire le bombe. Faccio un esempio: questa mattina quando ci siamo svegliati – noi siamo in quattro in questa casa in questo momento: due dottori, un infermiere e un responsabile della logistica – avevo sentito bombardare durante la notte verso le due del mattino, gli altri miei colleghi però non hanno sentito nulla perché si sono già abituati ai rumori della guerra che sono costanti. Un drone che gira sempre sopra le nostre teste, ci sono i bombardamenti continui, le raffiche di mitragliatrice. C’è poi una pressione psicologica anche su di noi piuttosto forte, che è legata anche un po’ alla frustrazione di non avere tutto quel materiale in termini di medicine, materiali sanitari, per poter curare le persone in difficoltà.

Manca acqua, cibo, ma mancano quindi anche i farmaci.

Mancano molti farmaci. La gente è estremamente disturbata, ma non c’è una pillola per ridurre l’ansia, per intenderci. I farmaci analgesici sono pochi, i farmaci per le procedure pure – io sono un medico di pronto soccorso – quindi che ne so, arrivi in ospedale e devi fare una cardioversione. Noi non li abbiamo, so che anche gli altri colleghi, che hanno sale operatorie e che fanno interventi più complessi, hanno sospeso gli interventi chirurgici perché non avevano medicinali.

Situazione sempre più difficile immagino, anche perché molti ospedali sono stati distrutti e sono inagibili proprio mentre crescono i bisogni.

Sì, ad esempio l’Ospedale europeo costruito dall’Ue, che era un ospedale molto bello, ora è inagibile. Di conseguenza adesso ci sono grandi difficoltà per aiutare questi pazienti.

E il medico Giorgio Monti deve fare affidamento al senso profondo della propria missione per continuare a star lì a operare...

Bisogna accettare una difficoltà che conoscevamo prima di partire. Ripeto che ci sentiamo comunque privilegiati. In questo periodo stiamo mangiando riso, melanzane e ceci, che sono le cose che si trovano nel mercato: noi mangiamo quello che mangiano loro. Il nostro grande vantaggio è che abbiamo qualche soldo in più. A Gaza l’80% delle persone non ha un lavoro, manca anche la carta moneta, cioè il cash, non è permesso di entrare con soldi. Fino a qualche mese fa potevamo portare a Gaza un po’ di soldi da dare ad esempio all’autista per le spese correnti, ma quando sono rientrato ci è stato vietato di portare contanti. Così non riusciamo per esempio a pagare i nostri dipendenti: abbiamo assunto molti ragazzi, dottori, infermieri, autisti. Allora li paghiamo in modo elettronico, cioè con un bonifico dall’Italia, però se devi andare a comprare un chilo di pane ti serve moneta, così come se devi pagare un trasporto per un taxi o per i carrettini con cui gira la gente con i cavalli. È un problema enorme anche questo.

Israele afferma che bombarda gli ospedali per colpire i terroristi che vi si nascondono.

C’era un politico palestinese famoso e importante dal punto di vista di Israele, che è stato colpito e ucciso in effetti l’altro giorno in un ospedale. È stata bombardata la sua camera. Con lui però sono morti tanti altri malati. Quando Israele ha colpito l’Ospedale europeo ha dichiarato di averlo fatto per uccidere il leader di Hamas. Sono morte molte persone, ci sono stati molti feriti e l’intero ospedale ora è chiuso. Quindi io credo che bisognerebbe ragionare anche un po’ sull’ordine di grandezza di quello che è il cosiddetto danno collaterale di un’operazione militare. La scelta di bombardare è di tipo politico. Vede: se in una banca due rapinatori prendono in ostaggio il cassiere e noi gli tiriamo un missile, sicuramente uccideremo i due rapinatori ma uccideremo anche l’ostaggio.

Chi sono le persone che curate? Si dice che le vittime in questo massacro siano quasi tutte civili.

Io di miliziani in generale ne ho visti pochi, molto raramente magari in un checkpoint dove c’erano poliziotti e a volte anche quelli vestiti di nero. Quello che sicuramente si può dire e va detto, è che sarebbe strano considerare che i bambini morti fossero dei terroristi o che le donne uccise fossero considerate parte attiva di un combattimento. Questo mi sento abbastanza sicuro di dire: che questi bimbi e queste donne non sono assolutamente coinvolti nei combattimenti. Sono loro a rappresentare la stragrande maggioranza delle vittime.

Molti medici di guerra affermano che non hanno mai visto un accanimento simile. Cosa ne pensa?

Un’azione così sistematica nei confronti della popolazione, nella mia esperienza – sono stato in Afghanistan, in Africa Centrale, in Sud Sudan – non l’ho mai vista. Ho fatto l’ufficiale nell’aeronautica, quindi ho dovuto studiare un po’ di dottrina militare e non vedo qui azioni militari giustificate da obiettivi di tipo militare. Qui c’è un attacco sistematico sull’area urbana che è sicuramente molto cruento: coi miei occhi ho visto che Rafah non esiste più. Khan Younis, che ha la dimensione di Firenze, è quasi completamente distrutta quando attraversi la città. A Gaza quando sono arrivato mi sono detto: mamma mia, ma questa è l’apocalisse. Una distesa di detriti, con case completamente distrutte. La devastazione è veramente a livelli che non avevo mai visto.