Il Congresso si prepara a discutere una risoluzione per limitare i poteri di guerra del Presidente
L'attacco Usa in Iran divide l'opinione pubblica americana e il Congresso, dove la prossima settimana si prevede battaglia in aula sulla risoluzione bipartisan che obbliga il presidente a chiedere l'autorizzazione del Capitol prima di qualsiasi guerra.
Le linee di demarcazione sono sostanzialmente partitiche. Da un lato i Democratici, che denunciano un'azione incostituzionale mentre la deputata progressista Alexandria Ocasio-Cortez chiede l'impeachment, per ora da sola. Dall'altro i Repubblicani, dove i falchi interventisti esultano e le colombe isolazioniste si allineano, salvo qualche rara eccezione. Tanto che il tycoon ha vantato su Truth una "grande unità nel partito repubblicano, forse come mai prima". In mezzo la base Maga, contraria alla guerra ma addomesticata dal tycoon, che non a caso si è presentato nella Situation Room con il tradizionale cappellino rosso "Make America Great Again". E, quando ha parlato alla nazione, si è circondato dei suoi più stretti collaboratori per proiettare unità: tra loro anche il suo vice JD Vance, che frenava sul coinvolgimento americano in nome dell'America First ma che poi si è adattato alla linea del boss, ripetendo anche oggi che gli Stati Uniti "non sono in guerra con l'Iran, ma con il programma nucleare iraniano".
I Democratici si sono mostrati in gran parte uniti nell'opposizione ai raid, sostenendo che Trump non aveva l'autorità legale, anche se l'obiettivo di distruggere il programma nucleare iraniano può essere condivisibile. Ed ora vogliono metterlo in difficoltà forzando il voto in aula sulla risoluzione per far rispettare il War Powers Act. "Donald Trump ha promesso di portare la pace in Medio Oriente ma non è riuscito a mantenere questa promessa e ha ingannato il Paese sulle sue intenzioni. Ora il rischio di una guerra è drammaticamente aumentato", ha accusato il leader della minoranza democratica alla Camera Hakeem Jeffries. Gli ha fatto eco il collega al Senato, Chuck Schumer: "Il presidente deve fornire al popolo americano e al Congresso risposte chiare sulle azioni intraprese e sulle loro implicazioni per la sicurezza degli americani. A nessun presidente dovrebbe essere permesso di trascinare unilateralmente questa nazione verso qualcosa di così grave come la guerra, con minacce imprevedibili e senza una strategia". Ancora più duri il senatore Bernie Sanders ("È gravemente incostituzionale") e Ocasio-Cortez ("Ha rischiato impulsivamente di lanciare una guerra che potrebbe intrappolarci per generazioni. È assolutamente e chiaramente un motivo di impeachment").
Plauso invece dai falchi repubblicani, dal senatore Lindsey Graham ("Il regime se l'è meritato") al collega Tom Cotton ("La scelta giusta") e allo speaker della Camera Mike Johnson ("America First policy in action"). I più scettici se ne sono fatti una ragione. A confermare la parziale svolta Maga alcune voci significative, come quella dell'ex deputato Matt Gaetz ("Trump vuole che sia come l'attacco a Soleimani: colpisci e finisce lì") e dell'attivista Charlie Kirk ("L'Iran non ha lasciato altra scelta al presidente").
Ancora sulle barricate invece la deputata Marjorie Taylor Greene, che dopo i raid Usa ha ribadito su X che "questa non è la nostra battaglia" e ha pregato "per la sicurezza delle nostre truppe statunitensi e degli americani in Medio Oriente e in patria". Steve Bannon, da sempre diffidente verso l'interventismo militare Usa, stava trasmettendo in diretta quando il presidente ha fatto l'annuncio e ha ribadito che "la stragrande maggioranza della popolazione americana non vuole essere coinvolta in nulla di tutto questo". I sondaggi variano, ma prima dell'attacco l'opinione pubblica era in gran parte contraria a un coinvolgimento americano in Iran, anche se una quota discreta era favorevole a raid chirurgici sugli impianti nucleari.