Cibo, casa, conoscenza, mobilità: sono gli ingredienti sostanzianti la vita coeva, i quali sono permessi dai mezzi tecnici ereditati dall’era moderna: l’era piena di sviluppi nella conoscenza, trainata con discussioni e contraddizioni dalle élite intellettuali, macchiata costantemente da conflitti e sofferenze. La fede nel progresso e l’ideologia gemella hanno convertito tutti e sbaragliato le critiche di ogni sorta. L’ambiente culturale delle società occidentali è stato autoconvalidante. Se il lancio di idee moltiplicava altre idee “a causa della creatività scatenata dello spirito umano” (Zygmunt Bauman), già prima di Heidegger il maestro Husserl aveva evidenziato che il mondo della vita si metteva nelle braccia della tecnica, con tanti effetti collaterali e senza sviluppare una vera coscienza del fenomeno incontrastabile. Ma ha vinto la sicumera dell’ottimismo a piene mani. Deboli le resistenze o apparenti.
Nel presente, un ripensamento – se di ciò si può consciamente parlare – sembra convogliare in un largo processo: quello di prendere come adottato e buono ciò che la modernità ha prodotto in modo autoreferenziale, sedando le critiche – critiche: termine lusingante quanto fuorviante – del momento. Cioè oggi le ermeneutiche più importanti convergono. Però le verità oggettive della cultura occidentale sono sempre meno difese come superiori e definitive, comunque sempre sotto l’ombrello della ancora presunta egemonia. Si presentano faglie in cui si dispianano discorsi che si ispirano piuttosto a rapporti postindustriali e postcapitalistici. Non è questione di aut aut tra Occidente e Oriente, nemmeno questione di rifiutare un’industria essenziale e indispensabile, ma c’è l’intento di creare spazi per diverse economie meno centralizzate ed eterodirette, per contesti socioeconomici più simmetrici e autonomi.
Anche Bauman osserva il proliferare di pluralismi – che crescono la tendenza del relativismo – attivi nell’immaginare spazi meno turbolenti a favore di nuovi stili di vita. La retorica del potere perde forza, ne acquista invece l’opinione comune composta da tante opinioni. Gli intellettuali, da legislatori o consulenti governativi di un tempo, sono degradati a interpreti del presente. Tuttavia un ideale convegno universale e permanente delle conoscenze delle scienze esatte e delle scienze umane è lontano e si allontana: le specializzazioni fanno fatica a dialogare in spregio all’urgenza di un simile consesso. Gli intellettuali, un tempo legittimati per giudizi generali, morali, estetici, sono ora ingabbiati negli specialismi, sono esperti istituzionalizzati, sono vittime di amministrazioni autonome. Manca un discorso che faccia dialogare le competenze settoriali, manca quella transdisciplinarità tanto invocata da Edgar Morin. Insomma una situazione in chiaroscuro onde perfino ritornare a Montaigne, che fa da contrappeso a Cartesio, il fondatore delle certezze scientifiche, e che è pronto a dire ciò che pensa e pensa l’oggetto come suo pensato.