laR+ I dibattiti

Il peccato originale

Alcune cicatrici mi ricordano che da bambino sono stato sovente implicato in scontri tra fratelli, tra bande rivali e persino in spedizioni punitive nel villaggio accanto. A volte i grandi ne venivano a conoscenza e allora partiva l’istruttoria, condotta dalla mamma, dalla maestra o, in certe situazioni, persino dal parroco. Per stabilire la punizione – ruolo generalmente affidato al papà – l’inchiesta doveva fare chiarezza e soprattutto rispondere alla domanda basilare: chi ha cominciato? Una certa narrazione del conflitto israelo-palestinese tende a farci credere che esso sia nato dalle atrocità del 7 ottobre 2023 con i suoi 1’200 morti e 250 rapiti. In realtà, il conflitto è iniziato prima dell’istituzione dello Stato d’Israele. Visti su scala temporale più estesa, i 1’200 morti del 7 ottobre potrebbero essere considerati come la risposta palestinese ai 6’407 morti subiti (contro i 308 israeliani) nel periodo che va dall’operazione piombo fuso del 2008 al 6 ottobre 2023, mentre i 250 rapiti possono essere visti come l’equivalente dei 9’000 e più prigionieri palestinesi detenuti in condizioni disumane nelle carceri israeliane. Ma facciamo un passo indietro: prima della colonizzazione, la popolazione ebrea della Palestina rappresentava il 3,3% di quella totale. Il crescente antisemitismo in Europa – culminato con gli orrori nazisti – moltiplicherà per dieci questa proporzione, creando tensioni anche perché i nuovi arrivati, provenienti essenzialmente dall’Europa dell’Est, erano e sono culturalmente molto diversi dagli indigeni. Con pressioni politiche, minacce e bustarelle i sionisti riuscirono a far approvare dalle Nazioni Unite un piano di partizione della Palestina che dava loro (33% della popolazione) il 56% del territorio, comprendente la maggior parte delle zone più fertili per l’agricoltura e la parte essenziale delle terre costiere coltivabili. Già prima della costituzione dello Stato d’Israele del 14 maggio 1948 i sionisti avevano iniziato a spingere quanti più palestinesi possibili fuori dalla Palestina. Per la fine di quell’anno, la metà della popolazione araba della Palestina era stata espulsa, più di cinquecento villaggi erano stati distrutti e interi quartieri urbani erano stati demoliti causando molte vittime. Di queste operazioni, che i palestinesi chiamano “Nakba” (catastrofe), Israele ha cercato di cancellare ogni traccia. Con la declassificazione degli archivi israeliani e inglesi avvenuta negli anni 80, i cosiddetti Nuovi Storici hanno potuto fare chiarezza su quanto è avvenuto. In risposta, nel 2009 il governo israeliano ha vietato l’uso del termine “Nakba” nei libri di testo scolastici e ha richiesto la rimozione dei libri di testo esistenti che lo menzionavano.

Fatta chiarezza su chi ha cominciato, la parola passa ai giudici. In particolare con la risoluzione 194 che sancisce il diritto al ritorno dei profughi, l’Onu ci ha provato. Israele ha ignorato la risoluzione (come molte altre) e un gruppo armato ha assassinato il suo fautore Folke Bernadotte. La colonizzazione è tuttora in atto e chi vi si oppone viene chiamato terrorista. Israele insulta gli altri 192 Stati membri dell’Onu chiamando la loro assemblea “una palude di bile antisemita”. Una storia permeata di quella supponenza che Albert Einstein, già nel 1929, mise in evidenza con la seguente frase su cui invito a riflettere: «Se non siamo in grado di trovare una via di onesta cooperazione e di patti onesti con gli arabi, non abbiamo imparato nulla nei nostri duemila anni di sofferenza e meritiamo il destino che ci toccherà». Il ripristino della pace inizia con il dovuto riconoscimento del suo punto di rottura: le mamme lo sanno, Israele sembra volerlo ignorare e prosegue nell’insano tentativo di raggiungere la pace con le armi.