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La sentinella del popolo

(Ti-Press)

Il fatto è sacro e il suo commento è libero. Questo è il monito-programma lanciato il 19 dicembre 1944 sul frontespizio del primo numero del prestigioso giornale ‘Le Monde’ dal suo fondatore e direttore Hubert Beuve-Méry. Era necessario, perché se da sempre si può dire che notizie false vengono spacciate per autentiche (in politica si pensi alla demagogia, in economia all’aggiotaggio), approfittando della mancanza dei mezzi di controllo o della lontananza; oggi però la menzogna è stata eretta a sistema, la post verità. Questo è stato possibile grazie ai mezzi di diffusione e di convinzione; al continuo susseguirsi di informazioni, vere e non vere, che riducono il tempo necessario per verificare, per ognuna di esse, le fonti; alla spettacolarità; alla emotività; alle aspettative e convinzioni personali; alla vulnerabilità dei fatti (dovuta a chi li ha diffusi; alle circostanze di tempo e di luogo dove si sono prodotti; al fatto che si sono prodotti, ma avrebbero potuto non prodursi o prodursi in altro modo o con altre conseguenze); alla loro interpretazione tendenziosa o al riduzionismo. Con quale risultato? Le opinioni contano più dei fatti, per cui le notizie tendono non solo a relativizzarsi, ma addirittura ad assumere il significato opposto di quello della loro realtà, influenzando in modo determinante l’opinione pubblica, minando così i principi fondamentali della democrazia liberale.

La paranoica politica di Trump

Emblematica è la paranoica politica nazionale e internazionale instaurata da Donald Trump, che sta distruggendo la tradizionale ‘missione di nazione indispensabile’ degli Stati Uniti per difendere la libertà e rendere il mondo più tranquillo e più giusto, grazie alla democrazia liberale e alla cooperazione; missione iniziata dal presidente Woodrow Wilson (1856-1924). Quindi come è possibile non pensare ai decisivi interventi degli Usa, militari nel 1917 e nel 1942, e nel 1945 all’economia europea salvata dal Piano Marshall?

Oggi, invece, Donald Trump, pur sognando il premio Nobel per la pace, attorniato da conniventi più che competenti, sconvolgendo tutto l’occidente, calpesta lo Stato di diritto, il pluralismo democratico, se la prende con gli scienziati, con il sapere, ove si crea e si trasmette, con la stampa e i giornalisti che non condividono le sue pericolose assurdità e, soprattutto con i giudici. Quindi bando alle élite, sostituendole con una dittatura di fatto dalle mire imperialistiche (sul Canada, il canale di Panama e la Groenlandia), basata esclusivamente sulla forza bruta dello scorso XX secolo. Non meravigliano i suoi buoni rapporti con Putin (almeno finora), al punto da offrirgli concessioni prima dell’inizio dei negoziati, e si crede pure grande stratega! Si può capire, almeno in parte, il fervore che ha suscitato e suscita tuttora negli Stati Uniti (colpa grave dei repubblicani che non l’hanno eliminato dalla politica in occasione dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021). Per contro, mal si comprende come mai anche in Europa trovi tanti sostenitori pur sapendo che, come Putin, odia il nostro continente e il suo ordinamento politico, sociale, culturale ed economico. Questa degradazione della ragione cartesiana, a lungo andare, fatalmente, contaminerà tutto l’occidente, non solo nella sua organizzazione liberal-democratica dei poteri, ma anche nelle attitudini mentali individuali e collettive che la giustificano e l’accompagnano. È appunto quello che vuole Donald Trump, come Putin.

Solo la stampa può evitare la catastrofe

Chi può evitare simile catastrofe della nostra civilizzazione di origine mediterranea, greca, e cristiana, se non la stampa? Nessuno, e questo conferma la sua insostituibile potente funzione istituzionale, attestata anche dall’ipersensibilità dei governanti e, in generale, di chi ha il potere, quando il loro comportamento viene censurato dai mass media. Non per nulla il primo provvedimento del novello tiranno è l’abolizione della libertà di stampa. Il problema non è nuovo, perché già Calonne, ministro di Luigi XVI, considerava la stampa la sola piaga che Mosè dimenticò di infliggere all’Egitto.

Senza l’autore e i suoi collaboratori, capeggiati da Zola e Clemenceu, non ci sarebbe stato quello che rimane l’Affaire, ossia la condanna e la riabilitazione del capitano Dreyfus che sul finire del secolo XIX e per decenni ha diviso, e sotto certi aspetti, continua a dividere la Francia. Parimenti, senza il Washington Post e i suoi reporter Bernstein e Woodworth non ci sarebbe stato il Watergate che ha scosso profondamente gli Stati Uniti e comportato le dimissioni del presidente Nixon nel 1974. È pure merito della stampa se si è potuto dimostrare la pretestuosità delle ragioni addotte dagli Usa e dalla Gran Bretagna per invadere l’Iraq. Quindi sentinella del popolo, per usare il famoso attributo di La Rochefoucauld, “perché è buona e giusta, quanto scomoda”, secondo l’altrettanto celebre frase rivolta da De Lacépède a Luigi XVIII in procinto di abolirne la libertà.

La consacrazione della dialettica

Però, insegna Montesquieu, qualunque potere mira a estendersi, a usurpare quello degli altri e ad abusare delle proprie prerogative. Quindi la stampa, come ogni potere, può il meglio e il peggio. Allora, come è possibile salvare il meglio ed eliminare il peggio? Opponendo la stampa alla stampa, ossia un reciproco controllo. Questa è la consacrazione della dialettica, la quale, notoriamente, non è solo democratica e giusta, ma anche e direi soprattutto, formidabilmente progressista, in quanto lo scontro di idee genera uno spontaneo perfezionamento persino del postulato. Una frase di Lacordaire riassume tutto quanto sin qui detto, una frase che mi piace particolarmente, per cui la ripeto spesso pur di annoiare: “Non cerco di convincere il mio interlocutore che sbaglia, ma di unirmi con lui in una verità più alta”. In definitiva, la stampa sì, indiscutibilmente, ma guai al suo monopolio, non solo per la soluzione dei delicati conflitti internazionali, ma anche e sotto certi aspetti soprattutto per risolvere i problemi, grandi e piccoli, nazionali e locali in modo equo.

Ecco allora la conclusione: oggi, in generale, tutta la stampa è in difficoltà. Spetta quindi non solo alle istituzioni (Cantoni e Confederazione) sostenerla, ma anche a ognuno di noi lettori (chi può, abbonandosi ai due quotidiani, anche per la dialettica) e, soprattutto, agli operatori economici (una ragionevole distribuzione delle richieste di pubblicità). È veramente, più che mai, in gioco la nostra libertà: chi ha tempo non aspetti tempo.