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I fatti cancellati

LaRegione del 19 aprile, con il titolo “Chi cancella i fatti semina odio”, riporta l’ennesima presa di posizione di chi difende l’indifendibile operato dello Stato di Israele, accusando giornalisti e opinionisti di cancellare e manipolare i fatti e sottolineando che “ciò che non viene detto è fondamentale”. L’autore fa notare per esempio come i giornalisti omettano il fatto che “Israele si è ritirato completamente da Gaza nel 2005 e che in cambio ha ricevuto 20’000 razzi”. Facciamo allora un po’ di chiarezza su queste affermazioni.

Il ritiro di Israele da Gaza del 2005 non è un’opera pia compiuta da Maria Teresa di Calcutta, come una certa narrazione vuole far credere, bensì un piano politico proposto e voluto dall’allora primo ministro israeliano Ariel Sharon, soprannominato “il macellaio” dai palestinesi per le atrocità commesse da quando, appena quattordicenne, nel 1942 aderì all’Haganah, la principale organizzazione militare clandestina sionista a sostegno dei coloni. Il piano di Sharon consisteva nel mostrare al mondo quanto fosse difficile ritirare i coloni da Gaza, dimostrando così che un ritiro dei coloni dalla Cisgiordania, di ben altre proporzioni, sarebbe stato impossibile da attuare. Inoltre, rinchiudendo Hamas nella Striscia di Gaza si apriva la possibilità di un controllo militare israeliano dall’esterno, senza pericoli per la popolazione israeliana. Tra gli argomenti a favore di un ritiro vi era anche il fatto che la colonizzazione non era mai veramente decollata nei 38 anni di occupazione della Striscia: se pensiamo ai 700’000 coloni della Cisgiordania, a Gaza nel 2005 i coloni avevano raggiunto appena circa 8’000 unità, erano cioè una piccola minoranza tra i numerosi discendenti dei circa 200’000 sfollati che vi trovarono rifugio durante la Nakba (1948). Garantire la sicurezza dei coloni in queste condizioni rappresentava una vera sfida, così l’operazione “Mano tesa ai fratelli” ebbe inizio.

Il ritiro fu un vero evento mediatico. Il giornalista Donald Macintyre, allora corrispondente a Gerusalemme per un quotidiano britannico e profondo conoscitore di Israele, nel suo libro ‘Gaza: Preparing for Dawn’ scrive: “C’era qualcosa di teatrale in questo congedo forzoso – e in tutto il ritiro israeliano da Gaza”. Ma questo ritiro non segna la fine dell’occupazione: per la comunità internazionale Gaza è sempre rimasta occupata in quanto Israele controlla gli accessi, lo spazio aereo e marittimo, il movimento di merci e persone in entrata e uscita e gestisce delle “aree ad accesso limitato” dove ai contravventori viene sparato a vista. Dal 1967 i palestinesi di Gaza sono in totale balìa di Israele per acqua, cibo, medicine, corrente elettrica, gas, carburanti e via di seguito. Non c’è dunque da meravigliarsi se i genitori che vorrebbero dare un futuro vivibile ai loro figli sostengano il braccio armato di Hamas, dopo essere stati dimenticati dal resto del mondo per tutti questi anni. Da lì al lancio di 20’000 razzi verso Israele il passo è corto. Sono 20’000 razzi di troppo, certo. Ma hanno provocato meno vittime di quante ne abbiano causato le bombe di Israele nelle prime 24 ore dalla fine della tregua.