laR+ I dibattiti

Una democrazia non può essere silenziosa

In migliaia sabato a Bellinzona
(Ti-Press)

Sabato scorso, grazie alla determinazione politica e morale di un gruppo di cittadine, quasi cinquemila persone hanno manifestato a Bellinzona per chiedere al Consiglio federale di prendere finalmente posizione su quello che, a tutti gli effetti, si configura come un genocidio a Gaza.

Spesso molte cittadine e molti cittadini svizzeri hanno dimostrato un coraggio civile, che è stato loro riconosciuto con grande ritardo. Al contempo, le ricerche degli ultimi decenni hanno mostrato come le nostre autorità abbiano avuto comportamenti di cui non andare fieri, di fronte a situazioni urgenti e drammatiche. E non è stato facile, per la Svizzera, riconoscere pubblicamente quegli errori. Il nostro Paese ha poi affermato con forza che simili sbagli non si sarebbero mai più ripetuti. Ha promesso che, sui principi fondamentali – come quelli sanciti dalla Convenzione di Ginevra, di cui la Svizzera è depositaria – non ci sarebbero mai più state deroghe. In nessun caso. Eppure la Svizzera, oggi, di fronte alla crisi di Gaza e della Cisgiordania, si ritrova in una posizione molto simile. Proprio venerdì, i media ticinesi riuscivano a strappare con difficoltà a Ignazio Cassis, in visita nel cantone, una presa di posizione che definire temeraria è un eufemismo: la presenza svizzera a Gaza – assicurava – c’è, ma è “discreta”. Discreta, sì. Talmente discreta da risultare invisibile. E davanti a una tragedia umanitaria di queste proporzioni, l’invisibilità è una forma di complicità.

Dopo le grida inascoltate delle organizzazioni umanitarie e della giustizia internazionale, si moltiplicano le prese di posizione nette da parte di governi occidentali. Appelli sottoscritti da molti Paesi democratici che non chiedono di schierarsi tra Netanyahu e Hamas, ma di difendere i diritti umani fondamentali della popolazione civile in un territorio in guerra. La Svizzera non ha aderito. E Ignazio Cassis non ha battuto ciglio. Anzi, insieme all’intero Consiglio federale, ci dileggia con un silenzio ostinato e codardo, che tradisce profondamente gli impegni presi di fronte alla storia. Tace davanti alla voce di migliaia di cittadine e cittadini che, con petizioni, lettere, appelli alle autorità e piazze piene, hanno chiesto una posizione chiara. Tace di fronte alle dichiarazioni congiunte di importanti Città elvetiche – che ci auguriamo vengano presto affiancate da molti altri Comuni e dai Cantoni. Tace, e in questo silenzio tradisce la democrazia, il principio di rappresentanza e un minimo senso di responsabilità politica.

Sappiamo bene che Cassis ha rinunciato al passaporto italiano per poter essere sostenuto nella sua elezione a consigliere federale. Ma viene ormai da chiedersi se, nel frattempo, abbia rinunciato, da medico, anche al giuramento di Ippocrate. Perché altrimenti un atteggiamento tanto freddo e impermeabile alla sofferenza umana non si spiega. Ci si dirà: è la neutralità che lo impone. Ricordiamo però che proprio il nostro ministro degli Esteri, in più occasioni, ha illustrato con toni altisonanti la posizione della Svizzera sulla guerra in Ucraina, sottolineando che la neutralità non equivale a indifferenza: “Lo facciamo da Paese neutrale, ma non come un Paese indifferente e passivo: non interveniamo militarmente, ma proteggiamo il diritto internazionale; proteggiamo le vittime e proteggiamo valori che appartengono anche a noi” (Ignazio Cassis, 24.2.2022).

Eppure, la Svizzera non riconosce lo Stato di Palestina. Non riconosce i diritti umanitari di una popolazione martoriata. Non aderisce agli appelli che si moltiplicano – tra cui quelli della maggioranza degli Stati membri dell’Ue – e non fa nulla, se non temporeggiare. In un momento in cui ogni minuto è prezioso, la Svizzera resta immobile davanti all’arroganza e al disprezzo di chi si crede onnipotente. Forse il valore della giustizia non fa parte dei nostri valori fondamentali? O forse basta dichiararsi “democratici” per vedere protetta ogni nefandezza?

La giornata di sabato ci ricorda che dobbiamo continuare a chiedere, con forza e determinazione, che il Consiglio federale dica con chiarezza che, per la Svizzera, i diritti umani sono assoluti, intangibili, e devono essere rispettati sempre – in ogni guerra, in ogni conflitto, da qualunque parte –. E che a ogni popolazione, senza eccezione, questi diritti vanno garantiti. È ciò che impone il diritto internazionale. È ciò che impongono le convenzioni di cui la Svizzera è custode. Solo così la Svizzera potrà davvero proporsi come interlocutrice di pace, come ha sempre voluto essere. Perché il minimo comune denominatore di una vera democrazia non può essere né l’interesse di pochi, né la menzogna, né la viltà. Una democrazia autentica si fonda sul bene comune, sulla trasparenza e sul coraggio di difendere la giustizia. Sempre.