Non c’è un “prodotto Ticino” che abbia una peculiarità tale da distinguerlo molto dalle regioni attigue o più distanti. Il tempo ha ridotto il suo valore turistico, mentre l’iniziativa di tecnologie innovative è presa nell’azzardo di competitività accanite. Taluni denunciano l’assenza di una visione di sviluppo: ma visione forse provinciale che difficilmente può dissociarsi da visioni che le contingenze economiche e culturali ben più ampie informano.
Un’altra prassi ormai diffusa è la partecipazione attiva dei soggetti in netto calo, nonché il calo di consapevolezza dei concatenamenti globali che ci affliggono. In una parola, si può riassumere il fenomeno dovuto all’analfabetismo di ritorno. Di conseguenza aumenta il comportamento che tende ad assestarsi su una linea di attesa: si vorrebbe o si spera che qualcuno da qualche stadio superiore apporti delle soluzioni. Manca – così si mugugna – il politico illuminato, o l’intelligenza alta di un personaggio leader, o la forza affidabile alla quale, appunto, affidarsi.
Non dovrebbe essere dunque meno utile un atteggiamento più riflessivo, che si distanzi un poco da sempre più frequenti reazioni immediate – quantunque la proposta farà sorridere i più. Ossia piegarsi a riflettere in modo più assiduo sulle necessità fisiche e sociali che ci sono imposte. Evitando di porre il rimedio di un Dio – che è l’essenza del pensiero ateo – ci riconosciamo messi davanti e dentro a ciò che si è sempre chiamato Natura, della quale da secoli ne studiamo i nessi causali e dalla quale da sempre derivano quei perché senza risposta o soluzione – di questi forse il più inclusivo è il perché dell’essere. E la Natura – concepita nel modo analogo in cui l’ha vista Spinoza – è la fonte che ci porta all’avanguardia, procurandoci anche qualche tormento: la rigenerazione dello spirito. Massimo Cacciari nel suo recente saggio ‘Metafisica concreta’ lo definisce così: “Lo spirito è quella dimensione della Natura in cui essa giunge a riflettersi – e nei rigorosi limiti che la filosofia critica ha prescritto –, del tutto immanente al suo divenire, la cui Causa e Fine restano assolutamente inafferrabili”.
A mio modo di vedere, la riflessione può comportare una maggiore correzione della storia, lungo quel suo srotolarsi fra diseguaglianze importanti, pericoli costanti di conflitti bellici e distruzioni vaste della casa naturale. Direi che la riflessione non può non smorzare l’onnipotenza umana, non facilitare la tolleranza, non rendere più possibile il dialogo. Le contraddizioni globali e quelle locali si assomigliano. Lo sanno bene i componenti i cosiddetti ceti medi che si impegnano a ricavare un reddito da attività dipendente o da autoimprenditori, pur essendo pressati dalle esigenze di sempre maggiore flessibilità che la strategia capitalistica impone a vari livelli e in primis sul piano dell’accumulazione. Lo sanno bene i giovani dei movimenti ecologisti che si sentono castigati da un consenso che si manifesta solo in una minoranza.