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Difendere la libertà di espressione non è un crimine

Viviamo in un tempo in cui parole come “pluralismo” e “libertà di espressione” vengono spesso brandite come vessilli di democrazia. Ma quanto di questo è realtà e quanto solo propaganda? La campagna sistematica di delegittimazione scatenata contro l’Associazione Svizzera-Israele (Asi) ci pone di fronte a una verità inquietante: chi oggi osa difendere il diritto di Israele a esistere e a vivere in sicurezza viene trattato da nemico, isolato, ridicolizzato, colpito personalmente.

L’Asi è da sempre un’associazione apartitica, dedita al dialogo e alla costruzione di ponti culturali. Ha promosso iniziative pubbliche, eventi aperti a tutti, incontri incentrati su un solo principio: il diritto dei popoli a vivere in pace, senza paura, senza odio. Eppure, anziché essere riconosciuta per il suo ruolo di promotrice di dialogo, viene oggi messa alla gogna, vittima di una campagna denigratoria che richiama alla memoria i metodi più oscuri del passato.

Questa situazione ci riporta ai tempi bui del socialismo reale nell’Europa dell’Est. Allora, chi esprimeva un pensiero diverso dalla linea imposta dal Partito veniva immediatamente bollato come “nemico del popolo”, subiva campagne diffamatorie sulla stampa controllata dal regime, e alla fine veniva ridotto al silenzio. La storia ci ha consegnato il tragico bilancio di milioni di vittime della repressione ideologica, della soppressione sistematica della libertà di pensiero.

Oggi, con strumenti più sofisticati ma non meno efficaci, si tenta di replicare il medesimo meccanismo: chi difende Israele, chi chiede pluralismo e rispetto per tutte le voci, chi rifiuta la narrativa dominante imposta da certi ambienti, viene accusato, isolato e diffamato. Sotto la bandiera di una presunta difesa della libertà di espressione, si sopprime in realtà la diversità delle idee, si promuove una visione unilaterale e ideologicamente orientata, che trova sostegno nei circoli più radicalizzati della sinistra.

La sinistra che un tempo si batteva per i diritti civili è oggi sempre più spesso complice della censura e dell’intolleranza verso opinioni diverse. Non è un caso che, in molte università e media occidentali, il pluralismo sia diventato solo una parola vuota: esiste libertà di parola solo per chi si adegua al pensiero dominante. Opinioni che difendono Israele, che richiamano a un’analisi equilibrata del Medio Oriente, o che semplicemente pongono domande scomode, vengono marginalizzate o ridicolizzate.

È ora di dire basta. Non possiamo accettare che un’associazione come l’Asi, che rappresenta valori universali di pace e coesistenza, venga calunniata senza alcuna verifica dei fatti. Non possiamo accettare che si mistifichi il concetto di democrazia riducendolo a una caricatura ideologica. Difendere il diritto di Israele a esistere, difendere il pluralismo reale – quello che accetta anche chi dissente – non è un crimine. È un dovere morale.

Chi oggi tace davanti a queste campagne di odio, chi finge di non vedere, chi non si oppone, sarà domani complice della soppressione delle libertà di tutti.