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Lugano e lo stadio, una logica da palazzinari

Il cantiere, lo scorso gennaio
(Ti-Press)

Abbiamo appreso con sorpresa l’ipotesi che la Città di Lugano possa cedere lo stadio attualmente in costruzione al Footbal Club Lugano (Fcl), secondo le esternazioni avanzate dal municipale Raoul Ghisletta. Lo stadio rappresenta senza dubbio uno degli elementi fondamentali del progetto Pse. Le esigenze sportive della città sono state uno degli aspetti determinanti che hanno permesso al Municipio e ai partiti favorevoli di vincere il referendum promosso dall’Mps nel 2021.

Appare dunque singolare che oggi qualcuno – il municipale della sinistra Raoul Ghisletta – possa considerare, come ipotesi strategica, la vendita dello stadio all’Fcl. Già la proposta in sé, dopo aver affermato – meno di quattro anni fa – che la città dovesse costruire lo stadio in proprio, mostra una scarsissima considerazione per il punto di vista espresso dalle cittadine e dai cittadini di Lugano. Parliamo al passato perché l’Fcl ha già comunicato – come era prevedibile – di non essere assolutamente interessato all’acquisto dello stadio. Solo uno sprovveduto può pensare che qualcuno sia disposto a mettere sul tavolo 120 milioni per un investimento difficilmente redditizio, quando può già disporre dello stesso impianto limitandosi a pagare un canone d’utilizzo.

È vero che Mansueto ha deciso di investire centinaia di milioni per uno stadio di proprietà a Chicago; ma ha chiarito che si tratta di uno stadio con una capienza pari alla media delle presenze alle partite (22’000 spettatori), che avrà quindi un impatto diretto sul rendimento della squadra, giocando ogni volta davanti a un pubblico numeroso. E si tratta di una città di 2,7 milioni di abitanti. Basterebbe confrontare la proporzione tra la capienza prevista e la popolazione di riferimento dei due stadi per comprendere la logica che anima i rispettivi progetti. La misera prospettiva dello stadio di Lugano è, nella migliore delle ipotesi, quella di essere riempito a metà, con scarsissime possibilità di miglioramento. Con il nostro referendum avevamo contestato sia questo evidente sovradimensionamento, sia i costi eccessivi: pur essendo stata ridotta la capienza – anche qui con poco rispetto del voto popolare – dai 10’000 posti iniziali a 8’500, lo stadio rimane comunque ampiamente sovradimensionato.

Questa ennesima sceneggiata luganese mostra chiaramente quale sia il livello del dibattito politico nella città. Il Pse e le sue realizzazioni ne sono un esempio emblematico. Su tutte le questioni legate alle modifiche dei progetti, alle procedure di appalto, e così via, abbiamo in questi mesi presentato regolarmente critiche che nessuno è stato in grado di smentire. Basti pensare, ad esempio, alla decisione di riscattare lo stadio da parte della città, dopo che per tutta la campagna referendaria era stato sostenuto che le condizioni finanziarie comunali non permettevano una costruzione pubblica diretta. O, ancora, alla proposta lanciata dal municipale Ghisletta di vendere lo stadio (e il terreno sul quale poggia!) ancor prima che esso sia stato definitivamente acquisito dalla città, e prima ancora che la sua costruzione sia stata completata. Un modo di procedere da palazzinari speculatori, non da ente pubblico.

Che dire infine delle esternazioni del municipale Ghisletta, che fu uno dei più fieri oppositori del nostro referendum, accusandoci – a nome suo e di tutto lo schieramento di sinistra che sostenne il Pse – di speculare contro gli interessi della città e dello sport a Lugano? Basterebbe citare, per mostrare la volubilità di certi atteggiamenti, quanto scriveva in un suo contributo pochi giorni prima del voto: “Sì quindi il 28 novembre al Pse, che non solamente è necessario per lo sport e per i giovani di Lugano e del Ticino, ma che contiene pure importanti elementi progressisti ed è anche finanziariamente equilibrato. Il finanziamento equilibrato del Pse è importantissimo, perché non metterà in pericolo la socialità a Lugano e gli altri investimenti edili che dovranno essere fatti dalla Città nei prossimi anni per il benessere della popolazione e per la qualità di vita dei quartieri”. A questo punto, qualsiasi nostro ulteriore commento appare superfluo.