Sotto la cupola federale bernese troppi sono costantemente in corsa per stringere le mani insanguinate dei comunisti cinesi, fino a celebrare il 75esimo anniversario del riconoscimento della Repubblica popolare cinese da parte della Confederazione, dimenticando i genocidi commessi da allora fino a oggi. Il bottino è prezioso: si tratta di salvare dal naufragio la ratifica della nuova versione dell’Accordo di libero scambio tra la Svizzera e la Cina ratificato nel 2013 dalle Camere federali. Già allora, il Partito comunista cinese (Pcc) aveva ottenuto la ratifica di questo accordo malgrado fosse stato mutilato dalle tradizionali clausole elvetiche di protezione dei diritti umani, come pure per il divieto dei lavori forzati. Risultato: la Cina è diventata il terzo partner commerciale della Svizzera mentre, d’altra parte, il Pcc ha potuto intensificare e sofisticare il genocidio delle minoranze etniche sia in Cina che in Tibet. Nel frattempo, la gravità di queste violazioni dei diritti umani nello Xinjiang e in Tibet diede luogo alle proteste formali dapprima di 39 Paesi nell’ottobre 2020 e, successivamente, da parte di 54 Paesi nel giugno 2021. Il Consiglio federale se ne è sempre tenuto in disparte. Anzi, a Pechino ancora il 20 e 21 febbraio di quest’anno, in occasione del 17esimo cosiddetto “Dialogo sui diritti umani fra Svizzera e Cina”, la delegazione svizzera ripete le sue formule edulcorate e talmente macabre che il Consiglio federale non ha mai osato pubblicare un rapporto sui risultati di queste pantomime.
Intanto, è in preparazione la raccolta delle firme per il referendum contro la ratifica di questa nuova versione dell’Accordo di libero scambio fra la Svizzera e la Cina. Anche il Pcc si prepara a sabotare la libertà di espressione di elettori ed elettrici in occasione dell’imminente votazione popolare. Infatti, in base a una ricerca condotta dall’Università di Basilea, lo stesso Consiglio federale il 12 febbraio scorso ha pubblicato un rapporto comprovante le manovre di spionaggio e di intimidazione da parte di cellule del Pcc in Svizzera, tali da limitare la libertà di espressione e di informazione dei membri della diaspora, in particolare delle comunità degli uighuri e dei tibetani, malgrado si tratti di cittadini con il passaporto svizzero: sono costantemente interpellati da parte dei membri delle loro famiglie, in Cina oppure in Tibet, e diventano vittime di estorsione e intimidazione da parte del Pcc. Purtroppo, queste cittadine e cittadini svizzeri non vengono protetti, malgrado si tratti di persone che possono testimoniare pubblicamente riguardo alle conseguenze nefaste dell’Accordo di libero scambio tra la Svizzera e la Cina. Di conseguenza, il popolo svizzero viene limitato nell’esercizio del suo diritto di voto in occasione della prossima votazione popolare. I meccanismi di sabotaggio della volontà popolare da parte del Pcc sono stati dimostrati, una volta di più, grazie al rapporto molto dettagliato pubblicato con il titolo ‘China Targets’ sulla base di un’inchiesta del Consorzio internazionale dei giornalisti di investigazione, pubblicato su 42 quotidiani in 30 Paesi e purtroppo molto trascurato dai media in Svizzera: molti tibetani e uighuri hanno ricevuto pesanti avvertimenti tramite i loro parenti residenti in Cina e in Tibet. Anche le sezioni delle agenzie delle Nazioni Unite riguardanti i genocidi organizzati dal Pcc vengono sabotate in modo sistematico da parte di un centinaio di cosiddetti “Gongo”, ossia le organizzazioni non governative controllate dal governo: si precipitano a occupare le sedie delle sessioni internazionali, allo scopo di impedire l’arrivo e la partecipazione delle Ong occidentali.
D’altra parte, la voce degli attivisti uighuri e tibetani della diaspora all’estero è minacciata dai tribunali cinesi che ne domandano l’estradizione tramite l’Interpol, approfittando dell’opacità politica di questa organizzazione internazionale di polizia, per riuscire a rimpatriare e incarcerare gli oppositori politici. In questo modo si impedisce alle vittime dei genocidi, e in particolare a coloro che sono fuggiti dai campi di concentramento organizzati in Cina e in Tibet, che i loro racconti drammatici pervengano a conoscenza della cittadinanza svizzera. Così, mentre ogni giorno l’opinione pubblica elvetica viene informata, almeno parzialmente, riguardo al genocidio condotto dall’Armata russa in Ucraina e dall’esercito di Israele a Gaza, i genocidi più sofisticati messi in opera da decenni dal Pcc non possono più venire a conoscenza. Grazie a questo sabotaggio, il libretto di istruzioni di voto del Consiglio federale destinato agli elettori e alle elettrici svizzere non avrà modo di descrivere il lavaggio del cervello di milioni di bambini tibetani e uighuri e di altre minoranze etniche, ammassati nelle cosiddette “boarding schools” cinesi, strappati dalle loro famiglie in giovanissima età, a migliaia di chilometri in città a maggioranza “han”, con divieto di utilizzare la propria lingua materna e di praticare la propria religione. Nessuna testimonianza da parte di queste vittime minorenni e delle loro famiglie. Nessuna immagine di queste scuole lager, salvo una: il presidente Xi Jinping in persona che si è recato, nel giugno 2024, nel liceo di Xining inaugurato qualche anno prima, dichiarando esplicitamente la necessità “di impiantare il senso della comunità per la nazione cinese nel cuore dei bambini in giovane età”. Si prepara dunque una votazione popolare contro il nuovo Accordo di libero scambio fra la Svizzera e la Cina sabotata dalla propaganda del Pcc. Con la benedizione del governo e della Polizia federale.
Questo articolo è stato pubblicato in francese sulla ‘Tribune de Genève’