Si può ancora parlare oggi della Shoah rimanendo in silenzio sulla situazione in Palestina? Si può continuare a mantenere le due tragedie distinte oppure è necessario tentare di metterle in relazione? Questi interrogativi me li pongo anche come docente, in particolare da quando è iniziato il massacro della popolazione civile di Gaza. Nel mio insegnamento ho sempre cercato di spiegare come la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e altri possibili valori condivisi nascano anche come risposta alla tragedia della Seconda guerra mondiale e della Shoah. Ed ecco che fra le allieve e gli allievi più accorti e attenti si solleva la domanda, a volte ad alta voce, altre volte in maniera a malapena sussurrata: ma quindi la Palestina?
A questa domanda ho tentato di rispondere che non era il caso di aprire la discussione sulla situazione in Medio Oriente, oppure dicendo che i due casi andrebbero trattati separatamente. Non soddisfatto di queste risposte, mi sono anche chiesto se abbia ancora senso, oggi, continuare a parlare della Shoah in classe. Troppo ingombrante sarebbe lo spettro della tragedia mediorientale che si aggirerebbe in aula. La rimozione in ultima istanza non può però essere la soluzione. Per uscire dal vicolo cieco, ci si può chiedere quale sia il valore morale ultimo che è stato violato nei campi di sterminio nazisti. Forse il male più radicale che degli esseri umani hanno inflitto ad altri essere umani, negando in modo estremo la dignità e i diritti fondamentali che andrebbero riconosciuti a ogni persona, indipendentemente dalla sua identità etnica, religiosa, culturale, nazionale? Oppure una volontà di distruzione unica ed eccezionale degli ebrei e dell’ebraismo in quanto tale? Dalle camere a gas si alza il grido disperato di una comune umanità soffocata e tradita, o il grido di un’identità e comunità particolare vittima di un male assoluto incomparabile con altre tragedie della storia?
Se è vera e si crede nella prima ipotesi, allora è possibile pensare alle analogie tra il male radicale compiuto dal nazismo e altri crimini contro l’umanità, quali quelli che Israele sta compiendo contro la popolazione palestinese ma anche quelli che Hamas ha compiuto e vorrebbe compiere contro la popolazione israeliana. Questo non significa equiparare il male, tacciando Israele o Hamas di nazismo, ma analizzare e valutare dal punto di vista etico e giuridico i vari crimini. La gravità morale e penale di casi di genocidio, pulizia etnica e sterminio di un popolo possono variare, così come la relativa condanna. Se invece fosse vera e si credesse nella seconda ipotesi, allora l’imperativo etico del “mai più!” che emerge dagli orrori della Shoah rischia di non essere rivolto alla difesa della dignità di ogni essere umano con la sua identità ogni volta unica e singolare, ma di trasformarsi in una difesa esclusiva dell’identità ebraica in quanto tale, che può trovare nello Stato d’Israele il suo rifugio materiale e spirituale e la sua ragione ultima di esistere, costi quel che costi.
Visitai il memoriale di Auschwitz più di un decennio fa. Tra le varie scene che mi sono rimaste impresse nella memoria vi è quella a cui ho assistito nel blocco 5, dove sono esposti migliaia di oggetti personali delle persone sterminate nelle camere a gas. Nella sala vidi una scolaresca di ragazze e ragazzi israeliani che sventolavano enormi bandiere israeliane gridando insieme con orgoglio “Eretz Israel!”. Ai tempi la scena mi infastidì più che altro perché ruppe il silenzio glaciale nel quale stavo provando con fatica a elaborare l’orrore. Oggi pare tutto più chiaro. Sembra che una parte importante delle persone di cultura e fede ebraica abbia deciso di rispondere a quel che è stata la Shoah in maniera identitaria, etnica, nazionalista, religiosa. La Shoah darebbe loro il diritto di costruire con la violenza una “Grande Israele” dal fiume al mare, a scapito dei diritti fondamentali e della dignità dei palestinesi. Il ricordo dei campi di sterminio può farsi volontà di potenza, vendetta e distruzione di un altro popolo, rendendo Israele terribilmente simile al fondamentalismo islamico potenzialmente genocidario di Hamas.
Che senso ha ricordare i crimini contro l’umanità del passato se non ci permettono di contrastare i crimini contro l’umanità del presente? Se Israele fa delle tragedie del popolo ebraico un modo per giustificare sé stesso e far tollerare al resto del mondo i suoi crimini contro il popolo palestinese, allora la Shoah non può che perdere il suo significato etico e pedagogico ultimo di male radicale compiuto contro l’essere umano in quanto tale. Il “mai più!” può trasformarsi così in un ancora, ancora e ancora, in un circolo vizioso senza fine di violenze, crimini e orrori, che può essere interrotto solo provando a cogliere il grido disperato di una comune umanità soffocata e tradita.