Ed eccoci, puntualmente, all’ora dei pentimenti, dei rimpianti, delle autocritiche, financo delle proposte. Parliamo del Pse a Lugano, che qualcuno ha scoperto essere costoso, troppo per una città che non ha i soldi all’altezza della propria arroganza da primadonna parecchio fané.
Iniziamo dalla proposta, il resto valendo zero virgola zero. Si pensa, insomma, di convincere il presidente americano del club ad acquistare la struttura sportiva; a difetto di un obbligo giuridicamente azionabile, mi pare che si pensi a un… imperativo morale. Pronta la camicia di forza, o almeno una seduta da uno bravobravo, se Mansueto si facesse convincere da certe facezie.
A differenza di altri, a me piace molto dire “l’avevo detto”, leggere le pagine di qualche libro imbarazzante prima di girarle e farne tesoro (politicamente, elettoralmente). Ricordo che a noi, oppositori della prima ora di un progetto mal concepito e peggio difeso, si imputava (a torto) di essere contro lo sport. Supremo stigma, in una città che dello sport e dei suoi localissimi traguardi fa la cifra principe della sua sfilacciata identità. Un po’ come, sempre a noi, si imputava (sempre a torto) di voler coltivare patate sul terreno dell’aeromorto che tanto benessere avrebbe portato a tutti noi, come poi si è visto. Due esempi di scuola dell’argomento fantoccio, che consiste nel far dire all’avversario qualcosa che non ha detto e che neppure pensa, per poi criticarlo per quel qualcosa.
La verità vera è che la sciagurata partnership pubblico-privato, che tanto entusiasmo suscitava nel defunto sindaco, non era altro che una rozza declinazione del principio “privatizzazione dei profitti / socializzazione delle perdite”, con l’ente pubblico e i cittadini contribuenti nel ruolo peggiore.
Quello che occorreva fare, e che millemila volte si è subito scritto (e detto anche in alto loco) era che era la città a doversi far carico della costruzione della struttura sportiva, senza inutili fardelli palazzinari, emettendo un bond a tassi a quel tempo (e magari anche ora) del tutto ridicoli. Mi si era detto che non si poteva per una questione di rating della città, ignorando (?) che anche un leasing impattava sul sacrosanto rating.
E adesso che si fa? Ovviamente si compra lo stadio, facendo passare questa mossa per lo meno tardiva come una pensata da fenomeni, un vero colpo di genio. Ma siamo a Lugano, orsù, la gente ha la memoria del pesce rosso.
Alla base vi era l’assunto (una sorta di articolo di fede) secondo cui, diversamente dal resto del mondo “civile”, non si poteva chiedere nulla a chi avrebbe goduto in primis della struttura, cioè il club. Angelo Renzetti certamente ringraziava e, nel pacchetto venduto poi a Mansueto, ha di certo messo in luce la bella sopravvenienza attiva di uno stadio finanziato da tutti ma non da lui; c’è da credere che Mansueto (che vive nel mondo reale, e non nel nostro paese dei balocchi) non credeva ai propri occhi, e nessuno mai (nemmeno dopo la cessione al miliardario) ha messo in dubbio questa fantasmagorica formula.
Adesso in tanti si stracciano le vesti, vorrebbero assurdamente riavvolgere il filo degli eventi e magari farsi arruolare ex post nel gruppo dei reietti di un tempo. Di fronte a questo plateale esempio di insensatezza politica e progettuale – evito di fare altre ipotesi, in quanto certa gente è troppo stupida per fare il furbo, o il ladro – le chiacchiere stanno evidentemente a zero; resta solo da fare un banale esercizio di memoria al momento in cui si tratterà di votare. Forse è pretendere troppo dal pesce rosso, ma non perdo la speranza nell’elettorato.