Con la decisione del Consiglio nazionale, la maggioranza di destra ha firmato un attacco inaccettabile ai salari, alla volontà popolare e al nostro ordinamento federale. L’attuazione della cosiddetta mozione Ettlin, che punta a far prevalere i salari dei contratti collettivi sui salari minimi cantonali, rappresenta una deriva pericolosa: non solo si vuole legalizzare il dumping salariale, ma si calpestano le decisioni democraticamente adottate in diversi cantoni.
Il salario minimo è uno strumento indispensabile nella lotta alla povertà, e rientra perfettamente nell’ambito delle competenze cantonali quale politica sociale. Il suo smantellamento, deciso a Berna contro il parere del Consiglio federale e di ben 25 Cantoni su 26, è un vero e proprio attacco ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori più poveri, e una violazione grave del nostro federalismo.
Che la Confederazione voglia oggi imporsi su scelte politiche locali, fondate sulla partecipazione popolare e sul principio di prossimità, è uno schiaffo alla democrazia. Il disegno è chiaro: indebolire le tutele salariali e spezzare gli strumenti che i Cantoni e i Comuni hanno faticosamente costruito per contrastare la precarietà.
Mi auguro, e lo chiedo con forza, che la Camera Alta – degli Stati – abbia il coraggio e la coerenza di ascoltare la voce dei propri Cantoni e bocci questa riforma centralista, antisociale e anticostituzionale. E auspico che Marco Chiesa e Fabio Regazzi facciano prevalere il loro ruolo di rappresentanti ticinesi prima che di lobbisti degli ambienti padronali.
Come primo firmatario dell’iniziativa popolare cantonale per un salario minimo in Ticino, rappresento la volontà di oltre 10’000 cittadine e cittadini. Elettori che apponendo la loro firma all’iniziativa chiedono che in Ticino sia aumentato il salario minimo e che, esattamente al contrario di ciò che vuole fare la destra, il salario minimo ticinese prevalga su quelli dei contratti collettivi.
Al rientro dalla pausa estiva mi impegnerò a riaprire il fronte a livello istituzionale. Se necessario, porteremo di nuovo la parola al popolo. Perché la dignità del lavoro non si baratta e la volontà popolare non si cancella per decreto. E perché oggi più che mai, i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, così come quelli degli elettori che hanno sottoscritto l’iniziativa, meritano rispetto, non colpi di spugna!