laR+ I dibattiti

L’Ayatollah dimezzato

Se Israele può cantar vittoria ma si ritrova, dopo dodici giorni di scambi missilistici, con un “duomo di ferro” fessurato e qualche decina di vittime, la Repubblica islamica deve ormai fare i conti con un ridimensionamento totale della sua struttura teocratico-militare. I proclami di terribile vendetta della “guida suprema” Khamenei rintanato in un bunker sono stati coperti dalle dichiarazioni di disponibilità a trattare del, finalmente, moderato presidente Pezeshkian. Ma soprattutto, i pasdaran, i guardiani della rivoluzione islamica che rispondono solo a Khamenei e che controllano economicamente e militarmente il paese, dopo aver perso le loro succursali armate a Gaza, in Libano e in Siria, sono state decapitate dei loro massimi comandanti e dovranno fare i conti con gravissimi danni ai loro dispositivi bellici e ai loro programmi nucleari.

Ci si poteva da subito aspettare un tale bilancio, con qualche sorprendente azione a cui il Mossad ci ha da tempo abituati e un presidente americano pronto a saltare sul carro del vincitore sperando, almeno così, di farsi acclamare dal suo popolo. Ma non va neanche sottovalutato un elemento fondamentale dell’ideologia politica della teocrazia iraniana: la priorità assoluta che l’imam iraniano deve dare alla sopravvivenza stessa della Repubblica islamica. In questa riserva irrinunciabile della loro azione politica Iran e Israele d’altronde sono simili.

Già il suo fondatore, Khomeini, predecessore di Khamenei, non permise l’applicazione della sharia agli ostaggi, “spioni”, americani quarantacinque anni fa, come chiedevano i più integralisti rivoluzionari iraniani, che avrebbe certamente provocato un’invasione del Paese. Nel 1988, poco prima di morire, l’imam richiamò pubblicamente il Consiglio dei guardiani della costituzione al dovere supremo di preservare l’unico Stato sciita del mondo, a costo d’infrangere il diritto islamico. A questo fondamentale comandamento deve probabilmente essere stato richiamato l’oltranzista Khamenei, cui non resta d’altronde molto da vivere e che, con l’occasione, si è affrettato a indicare tre possibili successori.

È ora possibile immaginare, anche osservando certi segnali di “normalizzazione” decisi senz’attendere dal governo, che a Tehran prenda il sopravvento una linea più realista e, per alcuni aspetti di politica regionale e sociale almeno, moderata. Un’occasione per il presidente moderato Massud Pezeshkian di mostrare il valore di un approccio laico ai problemi del paese -seppur spietato nei confronti dei supposti traditori- sfruttando possibilmente una progressiva levata delle sanzioni. Per il corpo dei pasdaran, che ha da sempre ampiamente contribuito e approfittato di tutte le vicissitudini del regime, è forzatamente venuto il momento di fare i conti con i suoi figli, che non hanno conosciuto nè lo scià nè Khomeini e con una popolazione che con malcelata soddisfazione lo ha da mesi visto perdente. Ci ricorderemo forse di questa guerra, contestabilmente preventiva e punitiva, anche come di un evento che ciò nonostante ha dato un po’ di respiro a un Paese sconfitto.