laR+ I dibattiti

Piazza Grande, i tubolari e il Luna Park

(Archivio Ti-Press)

Ogni estate ha ovunque i suoi inevitabili “tormentoni”. Fra questi non mancano quasi mai le polemiche cosiddette culturali. In Ticino ne è appena nata una riconducibile (fatto peraltro non insolito) al Festival del film. Oggetto del contendere stavolta non è però la proiezione di qualche film “scandaloso” (come spesso è accaduto nel microcosmo del nostro passato), bensì la sostituzione dell’impalcatura che regge il grande telone dello schermo in Piazza Grande. Si tratta di una complicata struttura tecnica tubolare che certamente avrà, per i molti amanti del genere, una valenza estetica rilevante (in effetti è certamente più bella da vedere rispetto all’impalcatura costruita per consentire i lavori sul tetto di casa mia), ma che a conti fatti non mi pare possa assurgere addirittura a icona storica irrinunciabile del Festival locarnese. Eppure è in questi termini che si sono espressi coloro che hanno denunciato pubblicamente e in maniera accorata la scelleratezza della sua sostituzione con qualcosa di più pratico (e certamente meno costoso) nelle complicate operazioni di montaggio e smontaggio dell’insieme.

Ho grande rispetto per la malinconia che si prova nel vedere cambiare ciò che in un modo o nell’altro ha fatto parte a lungo, in maniera consolidata, della nostra quotidianità, della nostra esperienza sentimentale. E ancor più ho grande rispetto per la continuità dei messaggi concreti di personalità che hanno avuto una forza creativa forte e lungimirante, come nella fattispecie è stata quella dell’architetto Livio Vacchini, che appunto ha ideato la trasformazione della Piazza Grande (guarda caso non senza aver subito il fiele delle polemiche) in una singolare e affascinante sala cinematografica. Una “trovata”, la sua, davvero eccezionale, una scelta coraggiosa il cui riconosciuto successo non dipende certo da orpelli secondari, da dettagli come il sostegno dello schermo o il contenitore delle macchine di proiezione: è l’essenza del suo progetto globale che conta e fa stato. E non mi risulta che – come opportunamente ha ricordato il vicepresidente del Festival Luigi Pedrazzini – ci sia qualcuno che la voglia mettere in discussione o snaturare.

È in quest’ottica che gli oppositori del piccolo, marginale ma utile mutamento proposto (in primis gli architetti Bardelli e Vacchini junior, con ora pure il “cappello” di Mario Botta, nonché dell’evocatore della mitica “lotta di classe” Pino Sergi) a mio parere dovrebbero farsene una ragione, destinando piuttosto le loro energie e la loro passionalità persino iperbolica a un problema assai più rilevante relativo sempre allo “slargo” che chiamiamo Piazza Grande. Mi riferisco all’uso spregiudicato che ormai se ne fa quotidianamente durante il corso lungo dell’intero anno. Alla faccia della veneranda memoria di un altro bravo architetto locarnese, Luigi Snozzi (che aveva proposto un progetto ad hoc), cosa è diventato negli ultimi decenni il “salotto di Locarno”? Il sedime disgraziato di un perenne Luna Park senza arte né parte! Uno spazio pregiato e pur civile utilizzato senza una logica, senza una visibile pianificazione che sappia rispettare almeno le regole del buon gusto. Lo scempio vero sta qui, non altrove.

Certamente si tratta di una questione eminentemente politica, ma dunque intrinsecamente culturale. Ignorarla, non discuterla, dimenticarsene vuol dire far propria la triste battuta di Nanni Moretti: “Continuiamo così, facciamoci del male”.