O forse sarebbe meglio dire l’inazione politica, federale e cantonale. Ciò produrrà, anzi sta producendo, un danno irreversibile per le regioni periferiche, soprattutto in tre settori che richiederebbero invece ben altro approccio e slancio: la cancellazione dell’alpicoltura (e addio ai suoi pregiati prodotti), della viticoltura tradizionale (con il bosco che trionferà ovunque) e del paesaggio costruito (con altri rustici ridotti in macerie). Tutto ciò, appunto, a seguito di azioni politiche assurde, in cui spesso e troppo facilmente si scaricano le responsabilità tra Berna e Bellinzona.
Per ognuno di questi settori, già in difficoltà, subentrano ulteriori e decisivi ostacoli, promossi o tollerati dalle autorità e dai loro solerti funzionari: il lupo, e domani sicuramente anche altri grandi predatori, che sbranerà animali e aziende agricole, oltre ai loro prodotti pregiati e di nicchia; il patentino fitosanitario, che darà il k.o. definitivo, con la complicità oltre che delle autorità anche delle associazioni di categoria, alla tutela della viticoltura di collina, già molto più impegnativa rispetto a quella di pianura e gestita per lo più da dopolavoristi; l’eccessiva intransigenza normativa legata al territorio fuori zona edificabile, che contribuirà a cancellare preziose testimonianze del nostro patrimonio costruito, che va invece salvaguardato con un approccio più (pro)positivo.
Sono troppo pessimista? Macché. Realista e profondamente deluso da questa tendenza, in atto da troppo tempo e che promuove un’azione burocratica, asettica e amministrativa al territorio discosto, anziché intraprendenza, spirito propositivo e vicinanza alla terra, alle sue peculiarità e all’attività dell’essere umano. C’è chi obietta: “Che i contadini proteggano i loro animali!” (sono baggianate, per via della morfologia del nostro Cantone; e non ci voleva il rapporto Guggiari per capirlo); “che viticoltori hobbisti facciano il corso per ottenere il patentino!” (tutti sanno che ciò è irrealistico entro il 2026: in 1’000 su 2’400 viticoltori ticinesi non ne sono ancora in possesso ed è da febbraio che non vengono organizzati i corsi, che sono peraltro sproporzionati e disincentivanti per gli hobbisti); “ma il Puc-Peip permette già di ristrutturare i rustici!” (vero, ma con regole troppo rigide, scoraggianti e ispirate da obiettivi museali piuttosto che volte a favorire un’auspicata e senz’altro rispettosa frequentazione umana della montagna).
Perché in pochi, troppo pochi, si interrogano sulle nefaste conseguenze che questo deleterio approccio sta creando? E non si individuano soluzioni praticabili, sensate, per cercare di invertire le tendenze in atto, affinché il territorio periferico – e le sue preziose attività socio-economiche – possa continuare a essere tutelato e valorizzato? Io continuerò a battermi, soprattutto per una questione di dignità e rispetto per il territorio alpino e le sue genti, ma pure per le opportunità che si devono cogliere (e non gambizzare) per immaginare un futuro migliore.