Il buon governo si misura anche dal coraggio di correggere le proprie decisioni: si torni a una gestione unitaria della giustizia
La raccolta di oltre 30 firme per una seduta straordinaria del Gran Consiglio sulla riorganizzazione dipartimentale conferma che il “caso Bedretto” non convince la politica ticinese, e la richiesta di chiarimenti pubblici si fa strada anche dopo un voto unanime del Consiglio di Stato.
Per la prima volta nella storia svizzera ed europea, il Ticino ha diviso le competenze giudiziarie tra due ministri dello stesso partito. Una “profilassi istituzionale” che appare più come un allontanamento profilattico dalla responsabilità che come una vera innovazione amministrativa.
Dal modello francese a quello tedesco, passando per tutti i 25 cantoni svizzeri, la giustizia ha sempre un solo responsabile. Il Ticino diventa laboratorio di una disorganizzazione che contraddice secoli di governo democratico.
La divisione nasce da un imbarazzo: Norman Gobbi non voleva gestire il processo giudiziario ai suoi agenti coinvolti nell’incidente stradale. Soluzione? Spaccare in due il dipartimento, con Claudio Zali che eredita la magistratura e la polizia – pur rimanendo capo del Dipartimento del territorio –, mentre Gobbi mantiene le altre competenze del già Dipartimento delle istituzioni.
La divisione delle competenze genererà subito problemi concreti. Questo assetto contraddice il principio fondamentale della separazione dei poteri, che richiede chiarezza e indipendenza tra le funzioni esecutive, legislative e giudiziarie per garantire equilibrio istituzionale e fiducia dei cittadini. Chi rappresenterà il Ticino alla Conferenza federale di giustizia e polizia? Zali e Gobbi? Questa prevede un solo rappresentante per cantone: il Ticino rischia di presentarsi con due voci, o peggio, di restare senza rappresentanza per mancanza di coordinamento. La magistratura stessa si troverà a dover gestire interlocutori multipli, con il rischio di contraddizioni e di perdita di autorevolezza. All’apertura dell’anno giudiziario 2026, i magistrati vedranno – nuovamente – due ministri parlare di giustizia. Una diplopia che vale più di mille analisi: la giustizia ticinese con due teste, due voci, forse due visioni, ibridate – in corto circuito – con il Dt.
Mentre la Lega ha perso terreno (da 18 a 14 seggi), l’Udc avanza a 9. Il presidente Marchesi si dice in pole position per il futuro. Ma la frammentazione difensiva potrebbe spalancare le porte proprio ai democentristi.
Le firme raccolte dimostrano che la preoccupazione attraversa gli schieramenti. Non è questione di destra o sinistra, ma di buon governo. La bicefalia della giustizia, nata per evitare un imbarazzo, rischia di diventare un’umiliazione cantonale permanente.
Il Ticino merita di meglio che essere il caso di scuola mondiale di come la paura possa disgregare le istituzioni. La società civile e le forze politiche hanno il dovere di vigilare affinché questa anomalia non diventi la nuova normalità, in un mondo già sufficientemente imprevedibile.
Occorre ripensare con urgenza questa scelta, restituendo alla giustizia ticinese una guida unitaria e autorevole, capace di rappresentare il Cantone con chiarezza e responsabilità nelle diverse sedi competenti e di garantire coerenza e trasparenza all’azione amministrativa. Solo così si potrà evitare che una soluzione nata per gestire un imbarazzo momentaneo si trasformi in una fragilità istituzionale permanente.
Il buon governo si misura anche dal coraggio di correggere le proprie decisioni: tornare a una gestione unitaria della giustizia non sarebbe un segno di debolezza, ma di maturità democratica e rispetto per l’interesse collettivo. La bicefalia viola il principio costituzionale della separazione dei poteri, creando confusione là dove serve chiarezza. Solo un ritorno a una guida unitaria potrà restituire autorevolezza e costituzionalità alla giustizia cantonale, ricomponendo quella separazione delle funzioni che garantisce l’equilibrio istituzionale.