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Svizzera e Gaza: parlando di numeri

Durante la Seconda guerra mondiale, la Svizzera ha, purtroppo, respinto richiedenti d’asilo ebrei alle sue frontiere. Un fatto che induce a considerare una corresponsabilità svizzera nell’Olocausto e che sicuramente non è estraneo all’attenzione che il Consiglio federale e il Parlamento ancora oggi riservano agli atti di antisemitismo. Un fatto che forse spiega la reazione quasi impulsiva all’aggressione del 7 ottobre: con la (giusta) immediata e severa condanna, con la partecipazione di un consigliere federale a una commemorazione delle vittime, con la dichiarazione di Hamas come gruppo terrorista, ma anche con la decisione del Consiglio nazionale di sospendere immediatamente – e senza richiesta di chiarimenti – gli aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza, in seguito alla denuncia, da parte di Israele, dell’appartenenza di alcuni membri (su un totale di 6’000) dell’Unrwa a Hamas. Decisione poi tramutata in una – sempre tragica – sospensione degli aiuti. E confrontiamo i distributori giudicati criminali allora con quelli attuali.

Passiamo al linguaggio dei numeri. Si stima che, durante la Seconda guerra mondiale, circa 24’000 ebrei chiesero rifugio in Svizzera. Tra questi, tra i 17’000 e i 18’000 furono accolti, mentre tra i 6’000 e i 7’000 furono respinti. Poche centinaia furono respinte quando si sapeva della persecuzione ma non ancora dello sterminio, poche centinaia – ma vergognosamente troppe – quando dello sterminio vi era ormai certezza, il resto nel periodo in cui i sospetti di genocidio si andavano man mano confermando.

Se queste cifre – giustamente – ci portano a condannare moralmente il comportamento dell’allora governo svizzero (pur riconoscendo che agì in una situazione di estrema pressione, con Hitler che a un certo punto praticamente circondava il Paese e, ovviamente, senza conoscenza dell’esito della guerra), che dobbiamo pensare oggi del comportamento del Parlamento e del Consiglio federale, con la loro più che blanda attività di fronte a Gaza? Di fronte agli oltre 50’000 civili (per non usare l’espressione a effetto “donne e bambini”) barbaramente assassinati, al numero già spaventoso dei morti di fame, agli oltre 100’000 feriti – in parte mutilati, in parte operati senza anestesia – il tutto in piena e terribile conoscenza dei fatti e senza alcuna pressione?

E se – come in ogni crimine – si cerca di capire se vi sia stata complicità, che dire dell’assenza, da parte di Parlamento e Consiglio federale, di una energica e ufficiale protesta verso lo Stato fornitore di armi e munizioni, senza le quali non ci sarebbe stato nemmeno un morto (e ce ne rendiamo veramente conto?)?

Se dobbiamo sentirci corresponsabili dell’Olocausto – e difficilmente si può contestarlo –, in questo inferno, comparando i numeri, può bastare definirci semplicemente corresponsabili? O l’orrore commesso con il nostro silenzio/consenso è tale da dover considerare vero responsabile, vero complice, chiunque non abbia tentato d’arrestarlo con ogni mezzo a sua disposizione? Non ci dovrà rimanere per tutti i tempi il sentimento che la vergogna del Consiglio federale e del Parlamento in questa tragedia non trova parole per essere espressa? Consiglio federale e Parlamento... o Svizzera? E non ci resta che piangere.