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Funzionari eterni, politici a tempo

(Ti-Press)

Per Charles-Maurice de Talleyrand “il potere logora chi non ce l’ha”, un aforisma poi reso popolare da Giulio Andreotti. Ma a ben vedere, il potere è intrinsecamente corruttivo e le società moderne nascono proprio per contenere gli effetti negativi del potere. Perciò, il potere può logorare e corrompere chi lo detiene.

Nell’attuale contesto cantonale di frammentazione partitica, di scollatura fra i partiti e il governo, di crescente sfiducia nelle istituzioni e di ingerenza fra i tre poteri, c’è chi con ragione propone di passare dal sistema proporzionale a quello maggioritario. Un’ipotesi che comincia a somigliare a una necessità. La forma e le strutture politiche non sono frutto di processi naturali ma di scelte umane e, in quanto tali, possono essere modificate e migliorate.

L’introduzione del maggioritario, con l’elezione diretta del governo, rafforzerebbe la responsabilità dei consiglieri di Stato verso gli elettori, rendendo più diretto il rapporto fra chi governa e chi vota. In Svizzera le cose funzionano così, ma non in Ticino dove il sistema proporzionale da storico stabilizzatore ora tende a un preoccupante immobilismo. Tuttavia il sistema elettorale non può essere la causa dell’attuale situazione, quanto semmai il risultato di un processo culturale e storico del Cantone. Basti pensare che il nostro proporzionale ha origine da un fatto di sangue (la morte del giovane consigliere di Stato conservatore Luigi Rossi nel 1890 al culmine dello scontro tra liberali e conservatori) e resiste da oltre cent’anni.

Chi comanda oggi davvero in Ticino? I consiglieri di Stato? I partiti? Il parlamento? Non v’è dubbio che il nocivo logorio da potere sia in relazione diretta con il tempo. Se i politici, per definizione, sono soggetti al giudizio periodico delle urne, c’è un’altra categoria che sfugge a questo controllo: quella degli alti funzionari. Non eletti, spesso in carica per decenni, questi potenti dirigenti godono di una stabilità granitica e di un potere decisionale che va ben oltre il tecnico. In una democrazia, il potere tecnico dovrebbe rimanere al servizio di quello politico. “Io ero qui prima di te, sarò qui anche dopo”, potrebbe pensare un funzionario di lungo corso rivolgendosi a un neo consigliere di Stato, magari di partito avverso. Anche in parlamento sono stati lanciati diversi segnali d’allarme. Per esempio, durante una seduta del Gran Consiglio dello scorso settembre, un deputato ha invitato la consigliera di Stato Marina Carobbio a prendere in mano il dipartimento e non farsi prendere in mano dagli alti funzionari che sono lì da tanti anni.

In questo contesto, il logorio del potere non sembra colpire tanto chi a tempo determinato lo detiene, ma coloro che lo gestiscono nell’ombra, senza scadenze, senza voto popolare, supportati da normative finalizzate a rendere insindacabile il loro giudizio nei confronti dei sottoposti. I funzionari reggenti decidono e il Consiglio di Stato ratifica: semplice, lineare, tutt’altro che democratico. Molti docenti e impiegati lo sanno, per il quieto vivere e a tutela del proprio posto di lavoro è meglio tollerare la corazzata Potëmkin, facendo attenzione a non mostrare pubblicamente il proprio disgusto. Non come fece il ragioniere Ugo, che a sue spese imparò che i pareri onesti si pagano a caro prezzo.

La possibilità di introdurre un sistema maggioritario per l’elezione del governo non risolve tutto. Ma può essere un primo segnale di svolta culturale, un importante passo per un ripensamento generale dell’intero sistema. Il potere logora e corrompe, sì. Ma può anche trasformare. Se glielo si permette.