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Ecco Trump il sovranista!

L’annuncio dell’imposizione unilaterale di dazi al 39% per le importazioni svizzere negli Usa ha scandalizzato (oltre a preoccupare fortemente) la politica, l’economia e l’opinione pubblica elvetica.
A leggere i commenti del giorno dopo, ha scandalizzato e preoccupa fortemente anche coloro che avevano gioito per la rielezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. “Trump ama la Svizzera” era il commento della figlia del leader carismatico dell’Udc nazionale ancora lo scorso mese di febbraio. “È un’occasione per la Svizzera” gli faceva eco il presidente della sezione ticinese qualche mese prima.
Il tentativo, ora, di scaricare sulla presidente della Confederazione (“doveva essere più dura”, “doveva essere meno dura”, addirittura si è letto che “doveva andare a giocare a golf con lui in Scozia dov’era di umore migliore”) la responsabilità di una decisione che è individuale da parte di chi si è convinto di voler così riequilibrare la bilancia commerciale nei confronti di un Paese, il nostro, reo (Trump dixit) di “rubarci un deficit di 40 miliardi all’anno”, altamente tecnologico (dopo le banche, le industrie farmaceutiche fanno gola), giocoforza d’esportazione e con solo nove milioni di consumatori (e quindi che non può assorbire concessioni come quelle fatte dall’Unione europea per ottenere il 15%), è quantomeno incoerente. Peraltro, la base del sovranismo che accomuna il presidente americano e chi ha gioito per la sua rielezione è la difesa arroccata e ad oltranza dei propri interessi nazionali, non di rado (con Trump è diventata la regola) in contrasto con accordi internazionali e organismi sovranazionali. Peccato che a valere è poi però la legge del più grande e del più forte, con la Svizzera che, da sola, grande e forte non è. Quindi che fare? Da parte di chi ha sin qui negoziato con gli Usa (il consigliere federale Udc Guy Parmelin tramite la Seco) vi è l’intenzione di “proporre una nuova offerta”, magari promettendo maggiori investimenti (delocalizzazioni?) negli Stati Uniti. Altri pensano di impressionare l’America disdicendo l’acquisto degli aerei da combattimento (privandoci così ancora più a lungo della difesa di cui abbiamo bisogno) o imponendo dei controdazi (su una bilancia commerciale che ci vede appunto – anche se non per 40 miliardi – più esportatori che importatori, oltre che insignificanti per l’export statunitense). Altri ancora – ciò che condivido – invocano delle misure interne di alleggerimento burocratico e finanziario per la nostra economia d’esportazione, possibile però oltre il breve termine soltanto poggiando su finanze statali sane. La realtà è che, oltre a questo, bisogna iniziare a valutare con serietà (senza essere favorevoli per partito preso, ma nemmeno infilzandoli con l’alabarda e dandogli fuoco come diversi rappresentanti nazionali dell’Udc hanno platealmente fatto in occasione della recente festa del primo d’agosto) i nuovi accordi per la stabilizzazione e l’ulteriore sviluppo delle relazioni tra la Svizzera e l’Unione europea, verso cui esportiamo cinque volte tanto che negli Usa e da cui importiamo dieci volte di più.