Con il suo capolavoro, il grande architetto fu decisivo in un momento delicato nella vita del Festival
Il capolavoro di Livio Vacchini è stato di progettare e realizzare nel 1971, in un momento delicato nella vita del Festival, uno spazio di proiezione filmica nel cuore di una città. Non il progetto di un “teatro all’aperto”, ma il progetto di uno spazio in cui si crea, come a ogni proiezione in sala, la magia del cinema: nell’oscurità che si fa all’improvviso, il reale intorno scompare e il mondo appare come un’immagine di luce sullo schermo.
L’architetto Vacchini chiude la Piazza Grande verso il lago con un enorme schermo (22 metri per 10) che ha le dimensioni delle case attorno. Lo spazio urbano della piazza, mentre scende il buio, diventa una gigantesca sala di cinema con la volta celeste come suo soffitto, l’acciottolato si trasforma in parterre con migliaia di sedie. Lo schermo era composto da un traliccio di tubolari di acciaio di estrema precisione e solidità che aveva i suoi attacchi al suolo, ma che, con molta leggerezza, rimaneva sospeso e poi svettava verso il cielo come una grande quinta scenica.
Alta architettura con l’uso di elementi costruttivi industriali. L’aria del tempo. È già stato osservato che il progetto di Vacchini si misura con il clima di sperimentazione architettonica degli anni 60-70. Proprio nel 1971 viene annunciato l’esito del concorso per il Centre Pompidou di Parigi, vinto da Renzo Piano e Richard Rogers. Da lì l’architettura entra nella temporalità del divenire dove le strutture di tubolari di acciaio permettono di trasformare, alternare e reinventare degli spazi dati in ambiente urbano, come nel caso del progetto di Piazza Grande.
Un’altra invenzione dell’architetto Vacchini è stata la cabina di proiezione realizzata con due scocche di piscina sovrapposte e appoggiata sul “diamante”, come lui definiva la struttura d’acciaio che la teneva sollevata dal suolo. Sembrava una piccola astronave da cui usciva il getto di luce del film.
Lo schermo e la cabina sono stati costruiti e assemblati con perizia da maestranze locali sotto la guida dell’architetto, come un vero progetto d’architettura da montare, smontare, rimontare e aggiornare nel corso degli anni.
Un’altra qualità singolare del progetto di Vacchini è stata il sonoro. La lunghezza della Piazza Grande ha imposto parecchie sperimentazioni affinché il parlato del film fosse comprensibile dall’inizio al fondo della piazza. La complessità e la riuscita di quest’opera dove si fondono, in una vasta dimensione, maxischermo, proiezione e impianti digitali di sonoro, ha richiesto continui adattamenti e invenzioni negli anni sotto il controllo dell’architetto Vacchini, ma anche nella relazione intensa che il pubblico locarnese gli ha tributato perché quest’opera è diventata un evento collettivo nell’immaginario della città.
La notizia della sostituzione o della dismissione di questa grande opera da parte della direzione attuale del Locarno Film Festival è stata appresa con sorpresa e amarezza nella città e nel mondo del cinema. La motivazione principale sembra essere la volontà di ridurre tempi e costi di allestimento. Appare molto debole giudicare quest’opera soltanto secondo il profitto. Inoltre, cosa più grave, impressiona il modo discrezionale con cui è avvenuta questa decisione, vale a dire senza porre una discussione pubblica sulla necessità di un intervento e sulle competenze adeguate.
La Piazza Grande di Vacchini è un’opera che vale la pena studiare per riconoscerne in pieno il valore materiale e simbolico. La Piazza Grande di Vacchini ha saputo elevare il virtuale a realtà storica, a icona. Che cosa vediamo, ora?
Uno schermo nuovo che aderisce a un ponteggio fragile sistemato alla bell’e meglio. Una cabina di proiezione, che poggiava sul “diamante”, ora sostenuta da un cubo bardato di nero che sembra un enorme catafalco. Considero la Piazza Grande di Vacchini un’opera di architettura importante del Novecento. È giusto chiedere di avviare un dibattito pubblico per ripristinare la struttura progettata da Livio Vacchini.