Scrivo sulla sentenza a don Leo da collega, non per commentare la pena inflitta a questo caso specifico, ma per interrogarmi sull’interpretazione della legge che l’ha motivata. Ridurre una pena perché i fatti sarebbero “tra i più bassi” nella scala dei reati sessuali lascia perplessi. Ogni atto sessuale imposto è violenza, anche senza penetrazione, e ferisce la dignità e l’integrità di una persona – in questo caso per anni. Distinguere tra petto maschile e femminile è anacronistico: i corpi hanno pari dignità e ogni intrusione non voluta nella sfera intima è violenza, soprattutto se attuata con l’inganno. Lo sanno bene i massaggiatori, che chiedono comunque il permesso per toccare il petto maschile. Abuso sessuale e abuso di potere. Quando una persona fragile si affida e, nel contesto di fiducia, viene convinta ad accettare di essere toccata, la sproporzione è evidente. Come si può dire che non sia manipolazione? Come può tutto ciò essere non penalmente rilevante, ma rilevante è solo la genitalità? Se la legge non sa dare il nome giusto alle cose, rischiamo di chiamare “minore” ciò che per chi lo subisce resta una ferita enorme.