laR+ I dibattiti

Il ritorno delle grida manzoniane

“Nessuno smartphone a scuola. Semplice. Ma chiaro. Nessun dispositivo deve entrare nel perimetro scolastico. Né spento né tantomeno acceso. Lo slogan? ‘Aiutiamo i nostri figli a diventare gli adulti che desiderano essere’. [...] L’iniziativa popolare ‘Smartphone: a scuola no’ è stata ufficialmente lanciata ieri dal comitato promotore. [...] Il divieto, è stato spiegato, si applicherà a tutte le scuole dell’obbligo: scuola dell’infanzia, scuola elementare e scuola media”.

Queste righe (lette sul Corriere del Ticino, 3 settembre) mi riportano alla mente il cap. I dei Promessi Sposi, dove Manzoni descrive con sottile ironia l’incontro di don Abbondio con quelli che “a prima vista si davano a conoscere per individui della specie dei ‘bravi’”. Naturalmente questi ‘bravi’, a dispetto della loro denominazione, non erano individui dal cuore d’oro, onesti lavoratori, generosi e altruisti; al contrario, erano dei delinquenti al servizio dei ‘Signorotti’ locali, che taglieggiavano la gente imponendo con la forza la volontà del loro padrone. Questo succedeva nella Lombardia del 1600. Contro tali ‘bravi’ fioccavano le ‘grida’, cioè leggi governative promulgate con titoli altisonanti e linguaggio articolato. Inutile dire che queste ‘grida’, nonostante il loro moltiplicarsi, non ottennero risultati positivi e i bravi continuarono a fare il loro ‘dovere’, anche perché facevano parte del sistema di potere dell’epoca.

Sempre le suddette righe mi spingono a immaginare scenari comici, con il moltiplicarsi di bidelli (oggi detti operatori scolastici) appostati ai cancelli delle scuole, pronti a perquisire le cartelle, gli zainetti, le borse degli alunni e delle alunne al fine di trovare lui, lo ‘smartphone’. Esattamente come nei giorni agostani del Locarno film festival, quando i nostri zaini venivano perquisiti da gentili guardie di sicurezza private alla ricerca di eventuali oggetti contundenti (i telefonini invece erano permessi, anzi necessari, direi indispensabili per prenotare un posto in sala).

Si vorrebbe dar la caccia agli ‘smartphone’ sul limitare del perimetro scolastico per aiutare i nostri figli “a diventare gli adulti che desiderano essere”. Ho l’impressione, visti gli alti esempi fin qui mostrati da chi bazzica nelle elevate sfere o cieli stellari, che i nostri adolescenti desiderino sì diventare adulti, ma lontanissimi dagli adulti di oggi. E pour cause!

Credo che le direttive emanate dal Decs (“nel perimetro dell’istituto scolastico i dispositivi tecnologici di comunicazione personali devono restare spenti e non visibili fisicamente”), se applicate con rigore, siano sufficienti a salvaguardare la salute digitale degli alunni e delle alunne. Non trasformiamo l’edificio scolastico in un fortino e diamo fiducia ai docenti e alle direzioni e diciamo ai genitori, che regalano i telefonini ai loro figli, di insegnare loro anche come e quando usarli.

Ancora una volta (devo incominciare a preoccuparmi?) mi trovo d’accordo con il vicedirettore del Corriere del Ticino, quando scrive nel suo editoriale (3 sett.) che i divieti “sono l’ammissione di una debolezza, di una sorta di fallimento” e che “non ammetterlo [il telefonino] integralmente nel perimetro scolastico, quindi nella cartella e nel percorso casa-scuola, appare una mossa esagerata e inapplicabile. Anche perché rischia di spezzare sul nascere l’indispensabile collaborazione tra il mondo della scuola e la famiglia”.

Se vogliamo abolire qualcosa, aboliamo l’iperbole.