Da alcuni decenni il prestigio dei docenti è in declino. Politica, ideologia del profitto e riforme mirate stanno progressivamente trasformando la scuola in una fabbrica di esecutori, allontanandola dalla sua missione originaria: formare menti libere. Una tendenza che attraversa l’intero mondo occidentale.
C’è stato un tempo in cui le parole “maestra” e “maestro” evocavano rispetto. Il lavoro dell’insegnante era riconosciuto come una delle colonne portanti della società. Quando è iniziato il cambiamento? Già un paio di decenni fa, con un mutamento politico e culturale che ha progressivamente eroso il mandato originario della scuola.
Sul piano politico la progressiva svolta a destra ha generato governi spesso intrinsecamente avversi a un mondo, quello dell’insegnamento, percepito come vicino alla sinistra. Sul piano culturale, l’Occidente democratico e capitalista ha abbracciato un’ideologia del profitto che esalta l’imprenditoria come valore guida, relegando la cultura, lo spirito critico e l’insegnamento a componenti poco produttivi. È il neoliberismo, un indirizzo di pensiero trasversale agli schieramenti politici che sta imponendo una visione aziendalista sul mondo.
Da qui nasce una classe dirigente che, incapace di concepire la scuola come luogo di formazione di cittadini pensanti, la riduce invece a semplice supporto del sistema produttivo. Il modello dominante imposto dall’economia preferisce fabbricare esecutori piuttosto che menti autonome. Il risultato è una scuola che viene spinta a rinunciare alla sua missione originaria: educare, formare, dare strumenti per capire e criticare il mondo. A questi compiti ‘inutili’, che servono a tutto, si preferiscono quelli ‘utili’, che servono a poche cose.
In Svizzera il settore scolastico che attualmente sta accusando il maggiore impatto da questo orientamento scolastico filo-aziendalista è quello professionale. In sostanza l’istruzione viene indirizzata verso conoscenze spendibili nell’immediato. Alla scuola non è più consentito bocciare. Inoltre, tra le attuali materie, quelle che a breve scompariranno, già non c’è l’italiano. Di fatto, il mondo dell’economia decide per la scuola i programmi e pure le promozioni. La formazione professionale con la sua dualità scuola-lavoro dovrebbe e potrebbe rappresentare un esempio eccellente di molla del progresso, di pacifica lotta tra sapere e saper fare, tra anima e corpo, tra uguaglianza e disuguaglianza, tra sinistra e destra.
Insomma, la scuola tutta sta progressivamente virando a destra. Una considerazione che di per sé non comporta necessariamente un giudizio negativo, a patto che ci sia una sinistra capace di opporsi e correggere le forme di diseguaglianze e l’antiliberalismo prodotte dalla società. Nel nostro cantone questa virata a destra dell’istruzione si sta delineando da tempo, ironia della sorte, sotto la direzione socialista del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (Decs): tre mandati di Manuele Bertoli e l’attuale di Marina Carobbio. Perché la sinistra (Ps) ticinese asseconda la destra e le logiche che vanno contro i suoi stessi valori fondativi? Equilibrismo? Spavento? Dilettantismo? Forse il termine più azzeccato è incoscienza, intesa come mancanza di consapevolezza delle proprie scelte.
Ma l’insegnamento con la “I” maiuscola non può spegnersi senza conseguenze dolorose per l’intera società. Resistere, in questo contesto, significa scendere in campo per cercare di salvare la sinistra e di conseguenza pure la destra.