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Charlie Kirk se l’è cercata?

(Ti-Press)

C’è qualcosa di romantico nella morte di Charlie Kirk. Seduto sotto un gazebo, in mezzo a tremila giovani e con solo qualche agente di sicurezza, il 31enne attivista conservatore stava ricevendo domande al motto “Prove me wrong”, cioè sfidando chiunque la pensasse diversamente da lui a sconfiggerlo, in un duello di argomenti. A risponderli è stato un killer anonimo, che ha approfittato di una logistica assurdamente spericolata per assassinarlo, prendendosi il più facile degli spari – dall’alto verso il basso, da meno di 200 metri di distanza.

È l’ennesima morte molto americana, di un personaggio politico molto americano. Nel fatto in sé non ci sono molti parallelismi con la situazione del nostro Paese, se non che – nell’epoca dei social media – ci dà l’opportunità di leggere le reazioni a un evento del genere, da parte di persone che incontriamo tutti i giorni per strada, sui mezzi pubblici, al lavoro. Uno dei sentimenti che sembra molto diffuso – perlomeno nella parte dello spettro politico che non condivideva le idee di Charlie Kirk – è che il morto, in fondo, «se la sia cercata». È come incolpare una donna molestata per l’abito che indossa: un capovolgimento morale intollerabile. E pazienza se questa «colpevolizzazione della vittima» – un incensurato padre di famiglia, disarmato, con l’unica colpa di avere espresso idee impopolari – farebbe rabbrividire la parte politica che oggi la sostiene a ogni occasione.

Possiamo comunque fare un esperimento mentale, scalando tre o quattro marce di violenza politica, e adattare ciò che è accaduto a Charlie Kirk alla nostra realtà. Immaginiamo un attivista politico, di qualunque partito, che installa un banchetto davanti alla Manor di Bellinzona e raccoglie firme per un’iniziativa popolare su un tema controverso. Immaginiamo che un energumeno, simpatizzante di un altro partito politico, gli si presenti davanti e gli tiri un pugno in faccia. Immaginiamo le reazioni. Se questo succedesse, il minimo che mi aspetto è che tutte le forze politiche condannino questo gesto, indipendentemente dalla parrocchia alla quale appartengono i protagonisti, vittima e carnefice. Se questa condanna non fosse unanime e priva di qualunque attenuante, saremmo davanti a un pericolosissimo scivolamento verso la legittimazione della violenza come strumento di affermazione del proprio punto di vista. Voglio essere ottimista: penso che nessuno scriverebbe, nemmeno nelle più infami “bolle” social, che il raccoglitore di firme “se l’è cercata”.

Per nostra fortuna, viviamo in Ticino. La violenza politica è solo un capitolo dei libri sulla storia del nostro turbolento Ottocento, o al massimo un ricordo dei nostri nonni, a proposito di qualche intemperanza da strapaese. Facciamo però attenzione a quello che scriviamo e diciamo, di fronte a un assassinio politico come quello di Charlie Kirk. Cerchiamo di restare umani e di raccogliere dai social media solo il meglio. Per esempio, questa osservazione del filosofo genovese Simone Regazzoni: «Cominciamo a dire con forza che noi non siamo né il Bene né la Verità. E dobbiamo imparare che se in democrazia qualcuno non condivide le nostre idee e si batte contro la nostra idea di emancipazione e diritti, è un avversario da sconfiggere con la forza stessa delle nostre idee, non con un colpo di fucile alla gola».