laR+ L’ospite

Affamare la Rsi

(Ti-Press)
17 settembre 2025
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Nei confronti del servizio pubblico gli umori stanno mutando. Inclinano verso il fastidio ostentato. Il bersaglio prediletto è la Ssr (Società svizzera di radiotelevisione), che nel 2026 dovrà affrontare una votazione che intende affamarla: “200 franchi bastano”. Sottinteso: bastano e avanzano. Nel 2018 un’iniziativa analoga è stata bocciata da popolo e cantoni (“No Billag”). Ma in quell’occasione la mobilitazione era stata ampia e carica di passione civile, in tutti i settori e in tutte le articolazioni della società civile. Ora riottenere quel consenso sarà più difficile. “Affamare la bestia”: uno dei princìpi fondamentali delle dottrine liberiste volte a ridimensionare lo Stato e la sua amministrazione, trova da qualche anno larga applicazione nel campo dell’informazione pubblica.

Veniamo a noi. La destra politica non ha mai amato la Rsi. L’ha sempre considerata un “covo di rossi” e un “terrario” di intellettualini privilegiati. L’idea di incavezzarla risale agli anni Settanta del secolo scorso: fu uno dei cavalli di battaglia dell’Als (Alleanza Liberi e Svizzeri), impegnata anche nella scuola per arginare il “sinistrismo dominante”, fondato “sull’odio di classe e su rozzi schemi populisti”. Il progetto di ridurle il flusso dell’ossigeno che la fa vivere, ossia il canone, permetterà finalmente di raggiungere l’obiettivo, dopo che le altre vie non hanno dato i frutti sperati: rivedere organici, stipendi, palinsesti ritenuti faziosi e troppo favorevoli alla sinistra.

È singolare che, come minoranza, ci si trovi per la seconda volta ad affrontare una campagna dai toni autolesionistici, un’iniziativa che in sostanza chiede alla parte maggioritaria del Paese (la Svizzera tedesca) di non più erogare fondi e risorse come in passato attraverso una generosa chiave di riparto.

Fin dalla nascita come “Repubblica e Stato”, il Ticino ha sempre dovuto combattere per farsi riconoscere come membro paritario all’interno della compagine federale. Ha dovuto, in altre parole, ricorrere all’arma delle rivendicazioni contro l’arroganza, o semplicemente la sordità, dei “signori” di Berna. Cito a memoria alcune tappe fondamentali di questa vicenda: la politica daziaria dello Stato federale post-1848, considerata discriminatoria; le soprattasse ferroviarie di montagna; l’assenza di ufficiali ticinesi nelle alte sfere dell’esercito e delle dogane; l’insufficiente presenza di italofoni nell’amministrazione centrale; lo scarso rispetto dell’italiano in quanto lingua nazionale nel parlamento e nei programmi scolastici d’oltralpe; lo spettro della germanizzazione del cantone; la soppressione delle cattedre d’italianistica nelle università; lo scontento per la lentezza con cui il Dipartimento dei trasporti affrontava l’attraversamento delle Alpi (galleria stradale del San Gottardo). Eccetera.

Ora tutto questo sembra sparito dalle coscienze, assieme al senso e all’importanza del servizio pubblico dentro un contesto plurilingue e multiculturale come il nostro. Per la verità, questa sollecitudine per la sorte dei piccoli è in calo da tempo, da quando le due principali regie federali, le Ffs e le Ptt, hanno cambiato pelle, spogliandosi della loro funzione storica e simbolica di vettori della coesione nazionale.

Anche l’informazione ha funzionato a lungo come collante tra le culture. Prima negli anni Trenta del Novecento, con l’introduzione della radiodiffusione, mentre buona parte dell’Europa cadeva nelle mani di regimi totalitari. E poi negli anni Sessanta, in epoca di guerra fredda, con la nascita della televisione. Tutte conquiste che inorgoglirono non solo i ticinesi, ma tutti gli svizzeri italiani in quanto rappresentanti della terza Svizzera. E si aggiungeva: in quale altra parte del mondo si poteva beneficiare di un’offerta così ricca e attenta alle sensibilità locali? Quale altra compagine minoritaria poteva vantare una copertura mediatica così capillare? In quale altro cantone la “classe politica” si vedeva garantire un grado di visibilità così elevato e continuo, e senza osteggiare nessuno, nemmeno i “nemici” dichiarati dell’ente? (continua)