In seguito all’aggressione dell’Ucraina la Svizzera adotta sanzioni contro la Russia. Come sostenuto dal nostro consigliere federale Ignazio Cassis, di fronte alla violazione del diritto internazionale non si poteva restare passivi. La neutralità non può essere uno scudo per chi calpesta i diritti umani. Ben diversa è la posizione nei confronti di Israele. Nonostante i crimini di guerra, la pulizia etnica, i crimini contro l’umanità e il genocidio in corso a Gaza non si adotteranno sanzioni. Per giustificare questa posizione ritorna la classica retorica di una Svizzera neutrale, imparziale ed equidistante tra le parti in conflitto, che darebbe priorità alla sua tradizione umanitaria e ai suoi buoni uffici diplomatici.
La contraddizione e l’ipocrisia della nostra politica estera risulta evidente: nel dilemma tra rispetto del diritto internazionale e neutralità integrale, nel caso della Russia si opta per il diritto internazionale, mentre nel caso di Israele si preferisce una neutralità integrale. Ma la nostra neutralità etica, umanitaria e diplomatica è perlopiù un mito, abilmente costruito nel tempo per rassicurare le nostre coscienze al fine di nascondere ciò che veramente importa: i nostri interessi economici e le nostre preferenze nello scacchiere internazionale.
Forse la ragione principale per cui la Svizzera ha imposto sanzioni alla Russia non sono i crimini di Putin. In realtà non ci si poteva permettere di diventare un rifugio sicuro in mezzo all’Europa per i capitali russi colpiti dalle sanzioni occidentali. D’altra parte, visto che al momento non vi sono sufficienti pressioni da parte della comunità internazionale per sanzionare i crimini del governo Netanyahu, la Svizzera può continuare tranquillamente a fare affari con il suo amico Israele.
Ammettere però che tra le inaudite violazioni dei diritti umani dei palestinesi e i nostri interessi si preferisce la seconda opzione non è moralmente facile né politicamente auspicabile. La favola rassicurante della nostra supposta neutralità ci viene così in soccorso per celare la nostra ignavia. In realtà la Svizzera non è imparziale né equidistante nel conflitto israelo-palestinese, ma chiaramente schierata dalla parte di Israele. Se fosse neutrale, riconoscerebbe ad esempio lo Stato di Palestina, non sanzionerebbe solo Hamas ma anche i crimini israeliani (o nessuno dei due) e non minaccerebbe di togliere il sostegno economico solo a una delle due parti, come nel caso dell’Unrwa.
Non vi è inoltre alcuna particolare tradizione umanitaria elvetica che ci distingua dagli altri. Diversi Paesi si impegnano più di noi nell’assistenza umanitaria alla Palestina e nell’aiuto internazionale allo sviluppo in generale. Discorso analogo vale anche per i buoni uffici diplomatici. In un mondo multipolare il cui baricentro non si trova più in Europa, la Svizzera è solo uno dei tanti possibili attori di mediazione degli attuali conflitti.
Continuare a credere che una Svizzera neutrale sarebbe un elemento concreto per convincere Putin e Netanyahu a sedersi a un tavolo di trattative, mentre non hanno alcuna intenzione di fermare le loro guerre, così come continuare a chiedere regolarmente a Israele di rispettare le Convenzioni di Ginevra, mentre il suo esercito non smette di compiere fra le più gravi e feroci violazioni nella storia di queste convenzioni, dovrebbe farci prendere coscienza che la narrazione di un’eccezionalità e particolarità elvetica serve solo a mascherare la nostra impotenza e inadempienza.
Al rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale la Svizzera ha spesso anteposto i suoi interessi, usando il mito della sua tradizione neutrale e umanitaria per darsi una parvenza etica. Qualche esempio: abbiamo continuato a fare affari con Hitler anche quando non era più necessario; i fondi ebraici e il segreto bancario; siamo stati uno dei Paesi al mondo più restii ad adottare sanzioni contro l’apartheid in Sudafrica, uno degli ultimi ad aderire alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e all’Onu. Che i politici di oggi siano consapevoli di questa ipocrisia o stiano mentendo pure a loro stessi non è dato sapere.
È giusto continuare a indignarsi e mobilitarsi per la Palestina. Forse però quel che più conta oggi per il nostro Paese è riuscire finalmente a fare una scelta politica di fondo. Sostenere e lavorare insieme per il rispetto dei diritti umani e per la promozione della pace nel mondo tramite il diritto internazionale, sanzionando tutti i governi criminali che violano questi principi. Oppure continuare a chiuderci a riccio nel nostro sovranismo nazionalista, utilizzando la favola della nostra eccezionalità come scudo per essere lasciati in pace e non dover sentire le grida di quei popoli la cui umanità viene uccisa, soffocata e tradita.
Nel frattempo, si può solo sperare che siano gli altri Paesi europei a uscire finalmente dalle loro di ipocrisie e a imporci, come per l’Ucraina, di prendere una posizione chiara sulla Palestina. Lo faremo probabilmente solo se ci conviene.