È un problema serio quando politici poco conoscenti della geopolitica internazionale, e soprattutto medio-orientale, si esprimono con leggerezza su un conflitto tanto complesso quanto drammatico. È quanto accade anche in Svizzera, dove non sono mancati esempi recenti: lo stesso presidente dell’ex Ppd – oggi Il Centro – ha rilasciato dichiarazioni che rivelano più semplificazione ideologica che reale conoscenza dei fatti.
Criticare una politica di un certo governo rientra nella libertà di opinione, che è alla base della democrazia. Ma quando a parlare è un politico, si richiede ben altro livello: conoscenza della materia, prudenza nelle parole e soprattutto l’uso di un linguaggio fondato su referenze accettate e verificabili. Parlare di “genocidio in diretta” è un abuso della storia e un insulto all’intelligenza. Israele non ha mai perseguito l’annientamento del popolo palestinese: combatte un’organizzazione terroristica che ha scelto deliberatamente di sacrificare la propria popolazione, trasformando scuole e ospedali in basi militari e usando i civili come scudi umani. La verità è semplice: questa guerra si sarebbe potuta fermare subito se Hamas avesse liberato gli ostaggi e deposto le armi. Invece certi politici e commentatori hanno preferito esercitare pressioni su Israele, ignorando i veri responsabili della tragedia: i terroristi che hanno lasciato una lunga scia di sangue, non solo in Medio Oriente ma anche in Europa.
Si cerca di raccontare il conflitto come se fosse iniziato ieri, dimenticando che per decenni Israele ha presentato proposte concrete di pace e compromessi dolorosi, sempre respinti dai leader palestinesi, compresa la soluzione di due Stati per due popoli. La pace non è mai stata rifiutata da Israele, ma da chi ha scelto la strada della violenza, dell’odio e della distruzione. Ed è intollerabile che questa realtà venga occultata, mentre si riduce tutto a una narrazione a senso unico, dove Israele è solo accusato. La memoria di Primo Levi non va strumentalizzata per fini politici: Levi ci ha insegnato il valore della memoria per difendere la dignità umana, non per giustificare chi nega a un popolo il diritto all’esistenza e alla sicurezza. Usare la Shoah per accusare Israele di genocidio è un’operazione immorale, che capovolge la storia e alimenta l’antisemitismo di oggi.
Quanto alle accuse sulle cosiddette “liste di proscrizione”, si tratta di pura propaganda. L’Associazione Svizzera-Israele è un’organizzazione apolitica e laica, impegnata nel sostegno ai suoi soci e nel promuovere rapporti di dialogo e verità. Molti membri del Centro ne fanno parte e diversi politici ci hanno chiesto sostegno in occasione delle elezioni. Ricordo bene che anche il presidente dell’ex Ppd – oggi Il Centro, partito che ha cambiato nome ma non radici – ha partecipato a diversi nostri eventi, manifestando anche il suo apprezzamento. Segnalare pubblicamente chi ha avuto il coraggio di opporsi a finanziare un’agenzia come l’Unrwa – travolta da scandali, accuse di corruzione e collusione con Hamas – non è fanatismo, bensì responsabilità democratica e trasparenza.
La cosa pratica, e soprattutto eticamente giusta, sarebbe unire le voci non per dividere o accusare a senso unico, ma per chiedere con forza convivenza, sicurezza, pace e democrazia per tutti i popoli della regione. Questo significa difendere tanto la vita degli israeliani quanto quella dei palestinesi. Se davvero vi stanno a cuore le vittime, allora è tempo di lavorare insieme per costruire una pace che riconosca la dignità e i diritti di entrambi i popoli, fondata sulla verità, sulla giustizia e sulla responsabilità reciproca.