Il presidente Putin, subito dopo la sua “Operazione speciale” che doveva condurlo in poche ore a Kiev, si è reso conto che la stessa, come era concepita e lo scopo per cui era iniziata, è miseramente fallita. È stato quindi obbligato a cambiare strategia, ricorrendo a una guerra “tradizionale” mirante a conquiste territoriali, anche per poter salvare le apparenze in casa propria. Da quel momento era già chiaro nella sua mente che una guerra di “posizione” e di lunga durata non poteva essere gestita in eterno. Inoltre, all’inizio delle ostilità, se l’Occidente avesse da subito sostenuto militarmente l’Ucraina, avrebbe corso il rischio di subire un contrattacco devastante. Grazie alla “minaccia atomica”, che in segreto neanche lui credeva possibile, ha giocato d’astuzia e gli è andata bene. Adesso però il suo nuovo obbiettivo è: come uscirne senza onore né gloria, cercando di “circuire” il nuovo inquilino della Casa Bianca, attirandolo con promesse economiche e aperture su nuovi territori ricchi di materie prime e giacimenti (vedi il Polo e le regioni artiche). Ma col passare del tempo, questa tattica pare non funzionare. Il presidente Trump vuole tutto e subito e lo sta trovando in Medio Oriente, con contratti stratosferici, sottoscritti da gente che li possano o li debbano rispettare. Putin su questo punto non è più credibile e non è che possa competere, con la sua nazione sotto le sanzioni, che qualche danno sicuramente fanno. Inoltre la guerra ucraina è pur sempre un problema in primis per l’Europa. I colloqui in Turchia stanno a dimostrare come sia maledettamente difficile uscire da questa situazione, senza che da qualche parte vengano trovate delle convergenze. E questo non succederà tanto presto.