Un genitore non affidatario su 5 non versa (del tutto o in parte) i contributi di mantenimento, o non lo fa per tempo. Ma gli interventi statali scendono
«In una situazione di crescente precarietà e disuguaglianza come quella attuale, le misure di politica familiare dovrebbero essere rafforzate, non dimenticate. E invece, guardando le cifre a Consuntivo relative all’anticipo alimenti, l’impressione è opposta: nel 2004 venivano versati oltre 11 milioni di franchi, nel 2024 si è scesi a 3 milioni». A rilevarlo, dati alla mano, è il granconsigliere del Partito socialista Ivo Durisch, che osserva come «una riduzione così significativa non può essere spiegata da un calo delle nascite o delle separazioni, ma da un cambiamento sistemico nell’orientamento politico e giuridico».
Ti-Press/Infografica laRegione/dati Consuntivi
L’anticipo alimenti, come l’aiuto all’incasso, è una misura che si può attivare rivolgendosi al Cantone nelle situazioni in cui, dopo un divorzio o una separazione in presenza di figli, il genitore non affidatario (che a livello statistico è più frequentemente il padre) tenuto a versare al genitore affidatario una pensione mensile – a titolo di contributo per le spese di mantenimento ed educazione fino alla maggiore età o fino al termine della formazione del figlio – non lo faccia o lo faccia solo parzialmente o in ritardo. Come riportato sul sito internet dell’Associazione ticinese delle famiglie monoparentali e ricostituite (Atfmr), secondo una stima di Caritas Svizzera, più del 20% dei genitori non affidatari non versa (del tutto o in parte) il contributo di mantenimento, oppure non lo fa in modo regolare. Ma i numeri reali sarebbero ancora più alti, afferma la coordinatrice dell’Associazione Alessia Di Dio: «Nelle conclusioni di questa indagine veniva specificato che si trattava di una sottostima. E pure l’impressione che abbiamo noi è che sia un fenomeno che resta molto sotto i radar, ma che ha una grande importanza».
Il mancato versamento degli alimenti, il cui ammontare è deciso da un tribunale o da un accordo tra genitori, «oltre a causare difficoltà economiche sia al genitore affidatario che ai figli – dice Durisch –, assume una chiara connotazione di violenza economica, che è una delle forme che può prendere la violenza domestica, con valenza spesso ricattatoria, di fronte alla quale la vittima si sente impotente. Una violenza che può avere conseguenze devastanti soprattutto per le famiglie monoparentali che sono quelle più colpite dalla povertà assoluta».
Per evitare o quantomeno ridurre l’impatto che queste situazioni hanno sul nucleo famigliare, nella Legge sull’Assistenza sociale è dunque previsto un articolo, il 27, che recita: “Lo Stato garantisce, nei limiti delle disposizioni stabilite dal regolamento d’applicazione, l’anticipo e l’incasso degli alimenti per figli minorenni, quando l’obbligato non provveda al pagamento”. Si tratta, per il deputato del Ps, di «una misura importante volta a tutelare il nucleo familiare che ha in custodia i figli da situazioni di povertà e prepotenza. Eppure, troppo spesso questa misura non è conosciuta da chi ne avrebbe diritto».
A tal proposito la Commissione parlamentare gestione e finanze, di cui Durisch fa parte, nell’ambito delle domande poste al Consiglio di Stato sul Consuntivo 2024 ha tra le altre cose chiesto quali misure sono previste per migliorare l’accessibilità e la conoscibilità dello strumento dell’anticipo alimenti, anche presso gli operatori sociali che dovrebbero promuoverlo attivamente. Il governo ha risposto nei seguenti termini: “Dal 1988 l’anticipo dei contributi di mantenimento viene garantito ai figli minorenni ed è largamente conosciuto dalla rete sociale. Oltre che dalle sedi dell’Ufficio dell’aiuto e della protezione (Uap) dislocate sul territorio e dall’Ufficio rette, anticipi e incassi (Urai) che si occupano di fornire attivamente le necessarie informazioni e supportare gli interessati per accedervi, l’accessibilità e la conoscibilità dell’istituto viene garantita anche tramite internet, in particolare dai portali informativi dello Stato e delle Associazioni di categoria che vengono costantemente aggiornati. Inoltre, vengono organizzati momenti informativi anche con i Comuni. La traduzione in lingua facile delle informazioni permette anche a chi dispone di competenze limitate nella lettura di accedere in modo autonomo alle informazioni e a contattare i preposti Uffici per l’accesso al Servizio”.
Nonostante ciò, anche secondo l’esperienza professionale dell’avvocata Nora Jardini Croci Torti, co-direttrice di Equi-Lab, la conoscenza e l’accessibilità a tale strumento sono tutt’altro che garantite. «Per una persona sola con a carico dei figli non è semplice attivare gli uffici preposti se non è seguita da un consulente, un legale o un assistente sociale. E se non attiva questi canali non ha neanche la possibilità di accedere agli aiuti familiari perché prima le viene chiesto di attivare la procedura d’incasso. Spesso capita allora che queste donne – perché la questione tocca principalmente loro – si scoraggiano e lasciano perdere».
Oltre alla scarsa conoscenza, uno dei fattori determinanti alla diminuzione sia dell’importo che delle richieste dell’anticipo alimenti – passate da 202 nel 2014 a 110 nel 2024 – è stato il mutamento dei criteri di calcolo degli alimenti. Specifica Durisch: «Prima del 2020 il Ticino si orientava alle cosiddette ‘Tabelle di Zurigo’, che fornivano un riferimento uniforme, trasparente e sufficientemente generoso. Oggi invece si valuta caso per caso, sulla base della situazione economica effettiva del genitore non affidatario. Il risultato è che gli alimenti stabiliti sono spesso più bassi, e quindi anche l’intervento statale tramite anticipo si riduce».
Entrando un po’ più nel dettaglio, spiega Jardini Croci Torti, «fino al 2020 i contributi nel nostro cantone venivano stabiliti su queste ‘Tabelle di Zurigo’ che assicuravano mediamente un contributo mensile di circa 1’500 franchi a figlio. Si è poi deciso di modificare il modello di calcolo per unificarlo in tutta la Svizzera. Ora la base è stabilita a partire dal minimo esistenziale del Diritto esecutivo con una distinzione in due fasce d’età, 0-10 anni e 10-18. Per la prima fascia è stato decretato il minimo esistenziale di 400 franchi e per la seconda di 600, a cui poi va aggiunta una quota parte per la locazione, per la cassa malati e in generale per tutte le altre spese necessarie per i figli. Una volta fatte queste detrazioni se il reddito del genitore affidatario ha un’eccedenza, questa viene divisa tra i membri della famiglia secondo delle percentuali determinate». Per l’avvocata il problema di questa modifica è che «soprattutto se non c’è eccedenza, il contributo per figlio diventa molto più basso rispetto a prima».
Conferma Di Dio: «L’impressione che abbiamo noi e numerosi altri professionisti è che i montanti delle decisioni di mantenimento degli ultimi anni siano di gran lunga inferiori a quelli che potevano essere stabiliti in passato». Questo, annota la coordinatrice Atfmr, «è anche dovuto al fatto che molto spesso negli ultimi anni è ravvisabile una diminuzione delle entrate del genitore non affidatario. Se quindi con il suo basso reddito riesce a stento ad arrivare alla fine del mese, non può essere stabilito un contributo di mantenimento sufficiente per far fronte ai bisogni dei figli». In tal modo, però, mette in luce Di Dio, «se da un lato al genitore non affidatario resta garantito il minimo vitale, dall’altro, nel caso ci sia un deficit, questo va a ricadere sul nucleo affidatario, vale a dire quello in cui crescono i bambini. È infatti il genitore affidatario a dover fare richiesta di determinate prestazioni sociali per riuscire ad arrivare perlomeno al minimo vitale. Si tratta di un controsenso perché così si mette in una situazione di precarietà e di dipendenza dagli aiuti statali il nucleo con i figli e oltretutto il genitore che già deve occuparsi di loro quotidianamente deve in aggiunta gestire tutte le pratiche e le procedure amministrative necessarie per l’ottenimento di aiuti e prestazioni sociali. Come emerge dal nostro lavoro di consulenza ciò costituisce veramente un onere spesso gravoso».
Un’altra criticità del sistema evidenziata da entrambe le nostre interlocutrici è quella del tetto di 60 mesi oltre a cui non viene più versato l’anticipo alimenti: «Se un genitore non affidatario non paga i contributi di mantenimento per 5 anni, non è che dopo ricominci a farlo». Significativo è il fatto che in concomitanza con l’entrata in vigore il 1° gennaio 2005 del limite dei 60 mesi, il totale degli anticipi alimenti erogati abbia subito un netto calo passando dagli 11,6 milioni del 2004 agli 8,1 di quell’anno.
Anche per quel che riguarda l’aiuto all’incasso «abbiamo l’impressione che non sia di grande efficacia poiché l’Ufficio preposto dispone di poche risorse da dedicare a queste procedure», considera Jardini Croci Torti. Lo stesso governo, nelle citate risposte alla Commissione della gestione sul Consuntivo 2024, scrive: “La misura dell’aiuto all’incasso richiede un rafforzamento, in particolare in termini di risorse. Maggiore è la frequenza con cui l’autorità d’incasso riesce a riscuotere i contributi di mantenimento impagati inducendo la persona debitrice ad adempiere i suoi obblighi di mantenimento, tanto più contenute sono le risorse finanziarie che lo Stato deve versare a titolo di anticipo degli alimenti e di prestazioni assistenziali”.
Altro fenomeno spesso sottaciuto ma rispetto a cui, indica Di Dio, abbondano le testimonianze negli ultimi anni «è l’interruzione del versamento dei contributi di mantenimento da parte del genitore non affidatario quando il figlio o la figlia compie 18 anni ma è ancora in formazione. Lo fanno perché allo scattare della maggiore età non sta più al genitore affidatario avviare la procedura dell’aiuto all’incasso contro l’altro genitore, ma deve farlo il figlio stesso. Per i ragazzi si tratta di una situazione molto delicata quindi quasi sempre rinunciano. Così capita che sia soprattutto la madre a doversi sobbarcare da sola il mantenimento del neomaggiorenne in formazione», afferma la coordinatrice Atfmr, che rileva anche l’esistenza di numerosi problemi relativi al mancato pagamento da parte del genitore non affidatario della propria parte di spese extra – come trattamenti medici non coperti dall’assicurazione di base, spese relative a corsi di lingua, lezioni di recupero e altro – per il figlio: «Teoricamente si può fare una procedura contro il genitore tenuto a pagarle, però attivarla ogni volta diventa estremamente laborioso e quindi spesso il genitore non affidatario tira la cinghia anche per evitare di accendere un nuovo fuoco di conflittualità con l’ex partner». Per risolvere simili situazioni, secondo Di Dio «bisognerebbe pensare a una procedura in un qualche modo facilitata».
Tirando le somme, al di là dell’ampio margine di miglioramento di queste procedure, ben venga anche secondo Durisch il fatto che si voglia evitare di cronicizzare la povertà del genitore non affidatario, «ma allora bisogna rendere più accessibili gli assegni familiari integrativi». Eppure anche su questo fronte le cifre sono in calo, rimarca il granconsigliere: «Se nel 2006 le persone beneficiarie erano 10’766, oggi sono 7’568, con una riduzione del 30%. E uno dei motivi è inquietante: molte madri straniere rinunciano a fare richiesta per paura di perdere il permesso di soggiorno. Perché il solo fatto di chiedere aiuto può essere percepito – o addirittura interpretato – come una mancanza di integrazione o di autonomia economica, con gravi conseguenze paventate». Conviene dal proprio osservatorio la coordinatrice Atfmr, che il problema di rinunce per tali ragioni esiste ed è frequente.
«La paura diventa quindi un deterrente – chiosa Durisch –. E il Cantone, invece di proteggere, alimenta questo meccanismo silenzioso. In tale contesto, la povertà e la paura diventano forme di violenza sistemica, e lo Stato, anziché arginarle, ne diventa complice, per omissione o per scelta. Non si può parlare seriamente di tutela dell’infanzia e della famiglia se si riducono, dimenticano o scoraggiano, gli strumenti che dovrebbero proteggere i più vulnerabili. Serve il coraggio di riconoscere che la politica familiare è un elemento imprescindibile di uno Stato maturo, giusto e consapevole. Perché non si tutela davvero un minore indebolendo la politica familiare. E non si tutela un genitore costringendolo al silenzio per paura. Tutti i bambini hanno gli stessi diritti. E ogni genitore ha diritto a essere protetto, non abbandonato». Quando lo Stato dimentica questo principio, conclude Durisch, «la povertà e la paura diventano armi. E la giustizia sociale, un’illusione».