Con Lorena Rocca (Supsi) parliamo di paesaggi sonori e dei progetti promossi in Ticino basati su questa affascinante e arricchente prospettiva sul mondo
Il fragore delle cascate della Val Verzasca, lo sciabordio dell’acqua misto al vociare dei passanti sul lungolago di Ascona, il fruscio delle lame sul ghiaccio e il riecheggiare delle grida dei bambini nella pista di pattinaggio Siberia, lo sferragliare dei treni merci e gli annunci dagli altoparlanti alla stazione di Chiasso. È sufficiente evocare i suoni identitari di alcuni scorci del nostro cantone – esempi tutti presi da ‘Ticino soundmap’, progetto di ricerca promosso dal Dipartimento formazione e apprendimento / Alta scuola pedagogica (Dfa/Asp) della Scuola universitaria della Svizzera italiana (Supsi) – per rendersi conto di quanto i paesaggi sonori abbiano la potenza di mobilitare ricordi, sensazioni, senso di appartenenza ai luoghi. Proprio grazie a queste caratteristiche «il loro studio può offrire una prospettiva innovativa e arricchente per la comprensione del territorio e delle sue dinamiche», spiega Lorena Rocca, professoressa ordinaria in didattica della geografia.
Con paesaggio sonoro «si definisce l’insieme di suoni naturali, antropici e culturali che riempiono un’area», rileva Rocca, che del progetto ‘Ticino soundmap’ è responsabile: «Si tratta di una mappa “work in progress” partecipativa che ha l’obiettivo non solo di registrare i suoni attuali e conservarli, ma pure di ricostruire quelli del passato grazie all’inclusione di brani letterari riconducibili a luoghi specifici». Scritti che, illustra la professoressa, «permettono di entrare in un paesaggio sonoro attraverso un medium silente». Cliccando ad esempio su uno dei segnaposti in località Bellinzona si possono leggere i seguenti versi ‘D’autunno’ (1989) di Giovanni Orelli: “Felinamente in giallo / viscido di salamandra / tra siepe e asfalto: neanche la faccia / gli ho visto al ragazzo che in bici / quasi m’investe allo svolto. / Tanto fitto pioveva e di traverso / che alle vacche vicino al liceo / l’anima s’annegrava: / in gruppo, stralunate, / disprezzavano l’erba, / mute muggivano al cielo”.
Ogni suono «è un indicatore significativo delle attività umane e naturali che ci circondano», evidenzia Rocca. L’aereo che romba sopra le nostre teste, il verso di un animale, il crepitio della legna in un camino, le campane che scandiscono le ore in un borgo antico, il ronzio di un drone che sorvola un campo agricolo: «Tutti contribuiscono a definire l’identità acustica di un luogo, raccontandone la storia e le attività che vi si svolgono». In altre parole, dice la nostra interlocutrice, «il paesaggio sonoro raccoglie in un’istantanea i processi che si attivano in un territorio, includendo però anche la dimensione percettiva che plasma il concetto stesso di paesaggio così come viene recepito dalle popolazioni. Il suono – come ci insegnano i neuropsichiatri, continua Rocca – è elaborato da reti cerebrali che coinvolgono anche la memoria e le emozioni, motivo per cui può riattivare ricordi intensi, talvolta ancestrali. Nell’uomo primitivo l’udito aveva una funzione essenziale per la sopravvivenza: permetteva di percepire pericoli e orientarsi nell’ambiente. Oggi questo senso è spesso trascurato, ma resta profondamente connesso alla nostra storia evolutiva. È proprio questa relazione radicata che rende l’approccio al paesaggio sonoro così potente e rivelatore».
Per questo motivo l’indagine attraverso questa lente può offrire cartografie sonore di straordinaria profondità utili anche alla geografia che tradizionalmente è molto più focalizzata sulla dimensione visiva». Non è dunque solo questione di identificare la fonte di un suono, ma altresì di comprenderne il significato emotivo e culturale.
L’importanza dei paesaggi sonori è stata riconosciuta anche dall’Unesco che li ha identificati come patrimonio immateriale da tutelare. Una tutela, evidenzia Rocca, «che non si limita ai soli suoni di origine naturale. Proprio in virtù della commistione tra natura, cultura e attività antropiche, l’attenzione alla loro salvaguardia deve essere più ampia». Ciò significa che un paesaggio sonoro incontaminato come quello di un bosco primario è certamente un tesoro da preservare, ma anche i suoni di un mercato cittadino storico rappresentano un patrimonio culturale intangibile che merita protezione.
I paesaggi sonori sono in continua evoluzione, modellati da eventi storici, sviluppi tecnologici e cambiamenti sociali. Sono numerosi gli esempi di come l’introduzione di nuove infrastrutture o tecnologie abbia ridefinito il panorama acustico di un luogo. Pensiamo all’avvento della macchina a vapore che ha trasformato il paesaggio sonoro delle città industriali introducendo un nuovo ritmo e una nuova scala di rumore. O a quello dell’elettricità, che ha permesso l’illuminazione notturna e, di conseguenza, ridotto il silenzio diffondendo nuove sonorità legate all’attività umana prolungata.
Di notevole impatto per il Ticino e per la Svizzera in generale è stato l’arrivo della ferrovia, con i suoi caratteristici suoni diventati ormai inseparabili dall’immagine del paesaggio confederato. «Da quando i binari hanno iniziato a intagliare il territorio, il suono dei treni ne è diventato un forte marcatore identitario – osserva Rocca –. Uno dei primi lavori svolti con il gruppo di ricerca internazionale che coordino e legato anche a ‘Ticino Soundmap’ era proprio incentrato sui treni e si intitolava ‘Il rumore lontano’. Da questa ricerca è nato un volume di stampo artistico con annesso un cd che raccoglie delle registrazioni di sonorità ferroviarie e delle memorie a esse legate presentate attraverso delle interviste narrative». Più recentemente, «anche infrastrutture come la Galleria di base del Monte Ceneri hanno modificato il panorama acustico, mobilitando o smobilitando diverse sonorità», rimarca la ricercatrice.
Oltre alla ferrovia, il nostro territorio vanta altri marcatori sonori distintivi. Uno è sicuramente l’acqua nelle sue diverse forme – ruscelli, fiumi, cascate, laghi – influenzate anche dalla stagionalità. Tornando ai suoni di origine antropica, tra quelli più caratteristici si annovera il “pi-po-pa” del corno dell’autopostale, carico di significato identitario per chi è cresciuto in Svizzera, spesso legato a ricordi di gite scolastiche d’infanzia su strade irte di montagna. Caratteristico è anche il suono della prova annuale delle sirene d’allarme. A tal proposito Rocca sottolinea come la capacità di cogliere segnali acustici di pericolo, quali un forte temporale o una frana, si sia affievolita nel tempo a causa della sovraesposizione al rumore urbano e della crescente dipendenza dalla tecnologia. «Questi suoni, che un tempo aiutavano l’essere umano a orientarsi e a proteggersi, oggi rischiano di non essere colti».
Per questo motivo l’educazione al rischio attraverso il suono riveste per il gruppo di ricerca coordinato da Rocca un ambito di particolare interesse su cui lavorare. E proprio la “giornata delle sirene” è un’occasione per sensibilizzare i bambini al fatto che quello non sia solo un rumore, ma un messaggio che parla di sicurezza, di preparazione e di responsabilità collettiva. «Si tratta di un suono scontato per chi abita il territorio e che diventa significativo solo quando si impara ad ascoltarlo con attenzione», afferma Rocca, evidenziando come «la rielaborazione dei suoni sia fondamentale per interpretarli».
Sempre nel contesto dell’attività con giovani alunni, il Dfa/Asp aderisce al progetto ‘Sounding Soil’ del Politecnico di Zurigo che prevede l’impiego di sonde da inserire nel suolo per ascoltare quanto vi succede. «È una dimensione estremamente curiosa e interessante per i bambini perché raramente ci si interroga sui rumori che ci possono essere sottoterra – commenta la ricercatrice –. Abbiamo ad esempio sentito il silenzio di un prato magro appena falciato, e al contrario il grande brulicare in un prato grasso ai piedi di un vigneto». Lo stesso esperimento è stato fatto con l’acqua, posizionando idrofoni in diversi punti della Breggia al fine di monitorarne la biodiversità. L’attenzione rivolta a questi suoni, sottolinea Rocca, «permette di sensibilizzare sull’importanza di ascoltare per comprendere l’ambiente circostante. Se un suolo “suona”, significa che è vivo e prospero di biodiversità, mentre un suolo “silenzioso” potrebbe denotare un degrado ambientale. Questa consapevolezza acustica può essere un potente strumento per l’educazione alla sostenibilità».
Strettamente legato a tali aspetti è il fenomeno dell’inquinamento acustico e del suo impatto sulla fauna. Il “rumore bianco” di fondo, generato dalle attività umane – le macchine agricole, il traffico veicolare, i grandi cantieri – «può interferire con le “bande” di comunicazione di numerose specie animali, mettendo a rischio la loro sopravvivenza», afferma Rocca. Succede anche ad esempio con i mammiferi marini che utilizzano il suono per orientarsi, cacciare e comunicare: l’aumento del rumore sott’acqua dovuto al traffico navale o ad attività estrattive può disorientarli e compromettere la loro capacità di sopravvivenza. «Si tratta di una forma di inquinamento ancora poco considerata nelle politiche ambientali – osserva la professoressa Rocca –, ma con effetti già documentati sulla comunicazione bioacustica di uccelli, cetacei e altre specie. Anche suoni impercettibili all’orecchio umano, appartenenti a frequenze al di fuori del nostro spettro uditivo, possono compromettere gravemente l’equilibrio acustico tra gli esseri viventi».
Sul sito paesaggisonori.supsi.ch si possono trovare tutti i progetti realizzati e in corso sul tema dei paesaggi sonori promossi dalla scuola universitaria, di cui fanno parte anche le piattaforme d’ascolto nel Parco del Piano di Magadino. «Queste iniziative mirano a rendere il paesaggio sonoro accessibile e intelligibile a un pubblico più ampio, promuovendo la consapevolezza». L’auspicio di Rocca è che l’orecchio ritorni a essere una parte attiva delle nostre pratiche quotidiane: «L’educazione al suono, dalla prima infanzia all’età adulta, è una potente chiave di conoscenza e di sviluppo di competenze. Sentiamo tante cose ma molto spesso non le ascoltiamo in profondità, ma l’ascolto profondo può salvarci la vita e renderci più sensibili all’ambiente che ci circonda». È insomma un invito, quello della professoressa, a riscoprire «un senso spesso trascurato, ma fondamentale per una comprensione più completa e ricca del mondo in cui viviamo».