L'incontinenza verbale dei conferenzieri come forma di maleducazione
“Sarò breve”. Lapidaria, categorica, netta, la premessa è una promessa: di brevità e di rispetto per il pubblico. Chi l’ha pronunciata, col piglio di un condottiero romano sul punto di passare il Rubicone, ha un’aria così seria e affidabile, da coscienzioso padre di famiglia, che sembra sottintendere: io ho una parola sola. E tu scegli di fidarti, anche perché i relatori che hanno sproloquiato prima di lui, nell’imperdibile conferenza pomeridiana a cui stai assistendo, non sono stati brevi per niente: la loro incontinenza verbale ti ha rovesciato addosso una quantità insostenibile di informazioni necessarie e di aneddoti tanto gustosi quanto utili a mettere a fuoco la personalità, il carisma, l’importanza dell’appartato poeta di valle, dell’estroverso pittore di lago, del lungimirante politico e Padre della Patria. “Non abuserò ulteriormente della vostra pazienza…”: una frase gentile, che giunge quanto mai opportuna e gradita, dal momento che l’Egregio Professore, l’Illustre Avvocato, l’Esimio Storico rischia di sforare il limite dei quindici minuti, entro cui sarebbe educato contenersi, non solo per lasciare spazio agli altri, ma anche per evitare che la soglia di attenzione dell’uditorio si abbassi. Eppure una strana inquietudine si impadronisce di te, e la successiva rassicurazione (“Mi avvio a concludere…”) ti tranquillizza giusto un po’: oltretutto, la pila di fogli dattiloscritti che l’Esimio legge con lentezza esasperante non si è ancora assottigliata.
Raccontava Cortázar di aver ammazzato il tempo, in un lungo viaggio in treno, leggendo un romanzo talmente noioso che, terminata ogni pagina, la strappava dal libro, la appallottolava e la gettava dal finestrino. E tu vorresti fare la stessa cosa, con i fogli già letti e quelli che l’Eminente deve ancora leggere: ricavarne tanti aeroplanini di carta, tanti piccoli aquiloni, per mandare tutta quell’inutile erudizione nello spazio cosmico. “Un’ultima osservazione, che mi sembra importante…”: ma sarà davvero l’ultima? A questo punto non ci credi più. Andartene non puoi: ti noterebbero tutti, in particolare i gentilissimi organizzatori, che ti hanno così carinamente invitato. Giocare con lo smartphone, neppure: anche se hai prudenzialmente evitato le prime file, sei circondato da persone così serie e distinte che non ti perdoneresti i loro sguardi accigliati, da cui ti sentiresti seguito per chilometri anche se decidessi di darti vigliaccamente alla fuga. E poi, il Chiarissimo ha appena annunciato l’imminente fine del suo intervento… “E qui, prima di cedere la parola al collega che ne sa senz’altro più di me, c’è ancora un aspetto rilevante su cui mi vorrei soffermare”: dormire? Sognare forse? Lo vorresti tanto, del resto hai un occhio pendulo e l’altro già chiuso: abbassi pericolosamente il capo e poi riconquisti con uno scatto disperato la posizione eretta; non potendoti muovere pensi alla formazione del fantacalcio, ripassi gli impegni del giorno dopo e qualche verso imparato a scuola, ma confondi i cipressi che a Bolgheri alti e schietti con l’albero a cui tendevi la pargoletta mano, e sussurravano i pioppi del Rio Salto su le tamerici salmastre ed arse, e questa siepe che da tanta parte ieri m’illuse e oggi t’illude.
“Ma ora chiudo davvero”, mentre tu ondeggi vistosamente, chiami in rassegna a uno a uno tutti i santi del calendario e sogni endovene di caffeina: ormai si è fatta ora di cena, e intanto altri Spettabili tromboni, carampane raccontano, puntualizzano, prendendo spunto da e sentendo il bisogno di. È vero, come annotava Gadda ne ‘I viaggi la morte’, che in ogni uomo si nasconde un maledetto pavone, ma ci vuole poco a ridursi come le teste d’uovo spernacchiate da Montaigne: “Proprio come gli uccelli vanno talvolta in cerca del granello e lo portano nel becco senza assaggiarlo per nutrire i loro piccoli, così i nostri pedantes vanno spigolando la scienza nei libri e la tengono appena a fiore di labbra, per ributtarla fuori e gettarla al vento”. Se nessun insigne è disposto a mollare di un centimetro, con ogni evidenza è mancata la regia ed era debole il moderatore, figura con uso di cronometro a metà tra il direttore d’orchestra e il vigile urbano, un po’ arbitro di calcio e un po’ giudice di ‘Giochi senza frontiere’: un ruolo (alle nostre latitudini incarnato alla perfezione da Stefano Vassere) necessario per evitare che la lettura di una relazione diventi un sequestro di persona. Alla fine di tutto, si sollecitano le domande del pubblico: vorresti urlare “No, il dibattito no!”, come in un film di Nanni Moretti, ma sono tutti talmente sfatti e stracchi che nessuno, fortunatamente, è capace di proferire verbo. Non resta, alle vittime del narcisismo da conferenza, che un estremo gesto di rivolta: al prossimo Magnifico Eccellentissimo che deborda, esonda e tracima, abbandonare tutti insieme la sala e uscire a ubriacarsi.