La resa del Governo che vuole vietare le adozioni internazionali stride con la tenacia e il coraggio che le stesse autorità chiedono ai genitori adottivi
I videogiochi alimentano violenza, intrappolano alcuni adolescenti in un mondo virtuale privandoli della loro creativa spensieratezza. Eppure la Svizzera non li vieta! Tre milioni di bambini sono schiavi minorili usati per produrre anche oggetti di uso quotidiano. Eppure la Svizzera non blocca l’importazione di merci da alcuni Paesi. Che dire delle pubblicità sul fumo, che per decenni hanno bombardato indisturbate i minori per trasformarli nella successiva generazione da ‘spennare’? Quando invece si tratta di adozioni internazionali, Berna non tentenna: invece di affrontare i problemi, vieta tutto, rinunciando anche al buono fatto per dare un futuro a chi non l’aveva. Gli orfani sono sacrificabili, le multinazionali dettano legge. Il cuore della Svizzera si sta tristemente raggelando. Lo dimostra, appunto, la recente decisione del Consiglio federale di vietare l’adozione internazionale. Il motivo: nessun diritto in materia, neppure il più severo, può escludere il rischio di abusi. Di abusi in passato, almeno fino agli anni 2000, ce ne sono stati: traffico di bambini, documenti falsificati. Ovviamente tutto ciò non deve ripetersi. Su questo punto siamo tutti d’accordo. Sul come arrivarci c’è molto da dire.
Mentre tante famiglie adottive elvetiche, con tenacia e generosità hanno superato il lungo iter per l’adozione, dimostrando una forza fuori dal comune nel superare tanti ostacoli, il Governo elvetico sceglie la via più facile. Alza bandiera bianca senza nemmeno provarci. Davvero un brutto esempio per i giovani, per una nazione che ha una lunga tradizione di solidarietà. Un’offesa a tante famiglie adottive che si sentono infangate quando il Governo lascia intendere che le adozioni corrette fossero sporadiche. In realtà ha prevalso una scelta di risparmio, un approccio contabile. Infatti la riforma del sistema richiede un impegno, in termini di controlli e di nuove regole da approvare, considerato troppo costoso rispetto al basso numero di adozioni – una trentina l’anno – in Svizzera. Quanto valgono le vite di trenta bambini? Rimangano pure in qualche orfanotrofio, in strada, preda di organizzazioni criminali che li vendono, li abusano, li trattano come merce di scambio.
Il discorso va capovolto. Con solo 30 adozioni l’anno possiamo finalmente impiegare tutte le risorse disponibili, perché tutto sia ancora più rispettoso dei diritti dei bambini. Come sta succedendo negli ultimi 20 anni. La Convenzione dell’Aja sulla cooperazione in materia di adozione internazionale ha posto doverosi paletti a tutela della protezione del minore e della correttezza dell’esecuzione della procedura di adozione. Avviene soltanto se nel Paese d’origine il minore non può restare nella sua famiglia o se non ci sono alternative. Ecco perché le adozioni in 15 anni sono passate da 300 a 30. I controlli sono già stati inaspriti, ce lo raccontano due famiglie che hanno adottato bambini in Africa. Se tutto ciò non bastasse ancora, ci sono altre vie, come propone la mozione del parlamentare Stefan Müller-Altermatt: delegare alla Confederazione le competenze cantonali, limitare i Paesi da cui è possibile adottare, istituire intermediari nazionali accreditati. La vita di un solo bambino vale bene questi sforzi.