Dopo la responsabile della Difesa, se ne vanno anche il capo dell’Esercito e quello dei servizi segreti. Un’altra grana per il futuro titolare del Ddps
Il malcapitato che il 1o aprile assumerà le redini del Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (Ddps) non potrà limitarsi ai già di per sé erculei compiti di fare ordine nel ginepraio che è la politica di acquisti (miliardari) dell’esercito, di trarre le dovute conclusioni dallo scandalo Ruag o di definire l’orientamento strategico a lungo termine delle forze armate (c’è molto altro, in realtà, ma la lista è talmente lunga che è meglio fermarsi qui). Alle prime armi, il nuovo responsabile del Ddps dovrà pure trovare la persona giusta per traghettare il malridotto esercito verso quel futuro d’abbondanza che la maggioranza ‘borghese’ del Parlamento e del Consiglio federale gli ha apparecchiato a suon di miliardi (e a scapito della cooperazione internazionale, fra l’altro).
Le clamorose dimissioni – risalenti a fine gennaio, ma rivelate soltanto martedì dalla ‘Nzz’ – del capo dell’esercito Thomas Süssli e di quello del Servizio delle attività informative della Confederazione (Sic) Christian Dussey costringeranno Markus Ritter o Martin Pfister – i due candidati ufficiali del Centro alla successione della ministra della Difesa Viola Amherd – a compiere un oltremodo arduo, duplice esercizio di reclutamento per rioccupare due posti chiave nell’architettura di sicurezza della Confederazione.
La notizia giunge in un momento delicato per il Ddps. L’invasione russa dell’Ucraina ha restituito all’esercito il blasone d’antan, andato in fumo dopo la fine della Guerra fredda. E la pioggia di miliardi voluta dal Parlamento per ripristinarne la capacità di difesa, fa ormai delle forze armate una priorità assoluta a livello di bilancio. Ebbene, proprio all’apice di questa consacrazione, la nave comincia a fare acqua da tutte le parti (‘comincia’ per modo di dire: le origini di alcune grosse magagne venute a galla di recente vanno ricercate nell’epoca in cui il Ddps era ancora nelle mani dell’Udc).
La serie nera è impressionante. A gennaio ‘Nzz’ e ‘Blick’ rivelano che la Delegazione delle finanze del Parlamento suona l’allarme: sette grandi progetti d’armamento e informatici (costo stimato: 19 miliardi) presentano rischi enormi. Poi, spiazzando tutti, la stessa Amherd annuncia il suo ritiro già per la fine di marzo. Pochi giorni fa si viene a sapere che il capo delle forze aeree Peter Merz è in volo verso Skyguide. Lunedì emergono i dettagli di uno scandalo di corruzione per svariati milioni di franchi presso Ruag, l’azienda di armamenti di proprietà della Confederazione. L’indomani, l’annuncio delle partenze di Süssli e Dussey è la classica (amara) ciliegina sulla (indigesta) torta.
A questo punto ci si può chiedere cos’altro dobbiamo aspettarci. Tre, anzi quattro dimissioni quasi in contemporanea ai piani alti di un dipartimento e dell’esercito, qualche sospetto lo destano (a proposito: perché Amherd ha atteso un mese per informare i colleghi di governo delle lettere di Süssli e Dussey?). Assieme al resto, alimentano pure i dubbi circa l’effettiva capacità delle forze armate di ‘assorbire’ i miliardi che gli sono stati concessi.
Forse non ha tutti i torti chi sostiene che peggio di così non potrebbe andare. Per cui ben venga la tabula rasa, sia ai vertici del Ddps che dell’esercito (e anche dei servizi segreti, già che ci siamo). A Palazzo federale gli ottimisti intravedono addirittura in mezzo a questo caos l’opportunità di un nuovo inizio. Che però non si concretizzerà senza prima aver fatto i conti con l’eredità politica (non negativa, anzi) di Viola Amherd, sulla quale le dimissioni di Süssli e Dussey – voluti proprio dalla vallesana – gettano ora un’ombra.